A Quiet Place: sposati con figli alla fine del mondo. Una recensione
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Incredibile come John Krasinski, uomo capace di un paio di acchiappi niente male come Emily Blunt e Michael Bay, sia riuscito anche a pronunciare la formula magica di un incantesimo: Anál nathrach, orth’ bháis’s bethad, do chél dénmha… Anál nathrach, orth’ bháis’s bethad, do chél dénmha e A Quiet Place – Un Posto Tranquillo si trasmuta da film muto a tesissimo meccanismo de paura, che ricorda Alien e Lo Squalo, incatenando allo schermo per un’ora e mezza.
Insieme agli sceneggiatori Scott Beck e Bryan Woods, Krasinski tratta lo spettatore come il sergente Dingham di The Departed fa con i federali: non gli dà niente e li tiene all’oscuro. Dell’invasione aliena che ha decimato l’umanità sappiamo veramente poco, ciò che riusciamo a leggere sulle prime pagine dei quotidiani appesi su una parete: mostri extraterrestri ciechi ma che ci sentono benissimo uccidono qualsiasi cosa faccia rumore. Un po’ come mia moglie che riesce a sentire con televisione e radio accese e gli auricolari quando apro lo sportello del frigorifero per mangiare fuori pasto.
I sopravvissuti sono costretti ad evitare ogni tipo di suono e per gli ambisinistri (quelli come me, goffi con entrambe le mani o i piedi) praticamente sarebbe finita, ma non per gli Abbott, famigliola composta da padre e madre (Krasinski e Blunt sposati con figli anche nella vita) e tre bambini di cui una non udente. È uno dei concetti più interessanti di A Quiet Place: ciò che nella nostra società è, purtroppo, una debolezza o quanto meno una difficoltà, in un futuro dispotico distrutto da creature misteriose diventa un punto di forza. Gli Abbott comunicano quasi per tutto il tempo con il linguaggio dei segni e, ve lo scrivo subito, praticamente A Quiet Place è un film muto, con pochissime linee di dialogo, in cui i suoni di un pavimento che scricchiola o le foglie che cadono diventano fondamentali ai fini della storia, una situazione che causa imbarazzo ai presenti in sala per il semplice motivo di aver comprato le caramelle gommose, i pop corn o le patatine da sgranocchiare mentre sullo schermo non vola una mosca.
Insomma John ed Emily sono sposati con figli e l’impossibilità fisica, pena la morte, di poter sgridare urlando alla prole ha come conseguenza che la gioventù stia crescendo piuttosto scostumata. Così, dopo 3 minuti, il figlio piccolo della coppia muore schiacciato come una mosca all’inizio dell’autunno perché non ha saputo resistere dal disubbidire al padre e rubare un’astronave giocattolo che all’improvviso inizia a ululare come un’ambulanza. Però i due genitori in blue jeans non si scoraggiano e dopo un salto temporale di poco più di un anno, li ritroviamo sistemati in una fattoria, organizzati per evitare qualsiasi suono non desiderato (praticamente tutti) e un figlio in arrivo. Eh sì, Emily è incinta, non che ciò contribuisca a renderla meno sexy, anzi, sexy almeno quanto è figo il marito che, malgrado siamo alla fine del mondo, mantiene una barba perfettamente curata.
Genitori scafati come voi sanno perfettamente che un neonato può rappresentare una bomba a orologeria in un mondo invaso da enormi ragni antropomorfi corazzati con la testa da xenomorfo e orecchie anatomicamente strutturate come quei labirinti di Escher multidimensionali capaci di sentire il rumore di un albero che cade nelle foreste del Centro America anche se siamo vicino New York.

Il sound design è determinante per la riuscita di A Quiet Place, con gli uomini letteralmente cacciati dai mostri che ormai dominano la Terra. L’incantesimo di Krasinski è un film che non lascia un attimo di respiro, dosando e alternando perfettamente i momenti di paura a quelli familiari che aiutano lo spettatore a rilassarsi anche un attimo e a prendere a cuore il destino degli Abbott, perché mamma e papà sono fighi da paura quando si fanno i selfie su Aracnogram, ma non possono dimenticare che i figli so’ piezz ‘e core e per definizione sono idioti e fanno robe idiote come farsi venire le crisi adolescenziali quando al mondo non c’è più un cazzo per farsi venire le crisi adolescenziali o piagnucolare perché non vogliono andare a pescare circondati dai ragni antropomorfi disposti a spappolarvi malgrado le migliori intenzioni di papà. È qui che A Quiet Place vince, nel farci partecipare per le sorti di una bella famigliola finita in un casino di cui non sappiamo niente: da dove arrivano i ragnoni che camminano a due zampe? Cosa vogliono da noi? Dove hanno parcheggiato le astronavi? Usano i social network? Che rapporti hanno con Spider-man? Come possiamo fermarli e come è possibile che a tutti i cervelli del pianeta Terra non sia venuta in mente la svolta che prenderà il film nel finale? Ecco un altro snodo: Krasinski & Co. si ricollegano direttamente alla tradizione della fantascienza anni Cinquanta e non dico altro per non rovinare la sorpresa, ma le parentele accennate (compreso Mario Merola) lasciano capire la qualità del prodotto.
Insomma, A Quiet Place è da vedere, possibilmente folgorando con lo sguardo o a male parole chiunque provi a sgranocchiare del pop corn durante la visione (scegliete bene orario, sala e cinema), ma senza starci a riflettere troppo, perché probabilmente, non supererebbe un’analisi logica di tutto ciò che accade. John e Emily sono fighi, punto. C’è pure la scena della vasca da bagno – un classico dell’horror e pure delle commedie scollacciate con la Fenech e Gloria Guida – e tutto è un continuo alternare di tensione e coccole familiari che vi riconcilierà col cinema.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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Dobbiamo assolutamente scrivere una guida su come curare la barba nel caso dovesse finire il mondo… Ok, scherzi a parte, il film ispira veramente un sacco!
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