The Place: recensione, cast, trama a lume di candela
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105 minuti dentro un locale, il buio, un via vai di gente che non ha niente di meglio da fare che pensare ai propri desideri. C’è chi vuole essere amata, chi salvare il figlio dal cancro, chi recuperare un rapporto, chi cancellare un rapporto, chi trascorrere una notte di sesso con una donna. Dall’altra parte del tavolo c’è lui, un uomo misterioso interpretato da Valerio Mastandrea, lui può realizzare i nostri desideri, ma in cambio chiede qualcosa, appunta tutto, emozioni, dettagli, richieste, su una voluminosa agenda dove scrive fitto fitto, cancella, annota, ed è il libro a decidere il pegno che il questuante deve portare a termine per vedere esaudito il desiderio. Il desiderio di Valerio Mastandrea deve essere stato di trasformarsi in Francesco De Gregori, e ormai ci siamo. Il mio di vedere Sabrina Ferilli lavare i pavimenti, e lo ha realizzato Paolo Genovese in The Place, film tratto dalla serie tv The Booth at the end.

Dopo l’esperienza di Perfetti Sconosciuti che si svolge tutto in un appartamento, tra cucina, salone, camera da letto, bagno e terrazzo, qui il regista lavora di sottrazione (cazzo finalmente l’ho scritto pure io, dice che fa figo scrivere di un regista “lavora di sottrazione”, la settimana scorsa una regista m’ha presentato come critico, me sto a montà la testa) e ambienta tutto in un locale, di cui ossessivamente vediamo l’insegna The Place, praticamente siamo sempre seduti a quel tavolo, per 105 minuti. Al buio. Cento. Cinque. Minuti. Sempre pressoché al buio. Cento. Cinque. Minuti. Se Perfetti sconosciuti era un’arancia meccanica di sentimenti, aspirazioni e tradimenti, con la trottola nolaniana del sogno che svanisce e restituisce la realtà di menzogna, qui è tutto un po’ consolatorio, molto italiano, molto dilatato, con l’illusione di poter offrire un’evoluzione ai personaggi – o meglio, a volte regressione – pensando che ciò sia salvifica, catartico e non faccia addormentare sulla poltrona. Sbagliato. The Place procede piatto, tra personaggi morsi dai rimorsi ma inarrestabili, altri si trasformano in un Travis Bickle de noantri, donne che pagano il prezzo del troppo amore, anziane indecise se compiere una strage o lasciare spegnere il marito di Alzheimer. E se gli intrecci sono banali, manca assolutamente la suspence che aiuterebbe a tenere aperti gli occhi e uno sviluppo maggiormente cinematografico e approfondito di psicologie e meccanismi. Mastandrea è un araldo, il Silver Surfer del Belpaese, il messaggero di qualcosa che non vediamo mai e nessuno sembra metterne in dubbio la possibilità di realizzare i loro sogni, tutti hanno letto Faust e il linguaggio forbito perfino della cameriera sta lì a dimostrarlo. Hanno detto intemperante… Ma chi dice intemperante?
** Ragazzi, state commettendo un grosso sbaglio.
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Al “la Ferilli lavare i pavimenti” ti ho amato. Anche se come ho scritto da me, l’ideale sarebbe stato la vecchietta che faceva esplodere davvero il The Place… 😉
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Ahahahahhaahhaha
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Ecco. La tua analisi è quella più vicina alla mia finora.
Mi aspettavo di più
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