RomaFF12 – I, Tonya: recensione, cast, trama, migliori frasi e una domanda: Margot Robbie ha davvero eseguito un triplo axel?
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Passato nella Selezione Ufficiale della Festa del Cinema di Roma, I, Tonya di Craig Gillespie (Lars e una ragazza tutta sua) ricorda La Grande Scommessa per l’uso dei toni della commedia nel racconto di fatti di cronaca e i falsi documentari di Christopher Guest. Gillespie mette in scena un mockumentary spurio, divertente se non chiarisse subito che tutto è tratto dalle vere interviste ai veri protagonisti della storia.
Nel gennaio del 1994 la stella americana del pattinaggio su ghiaccio Nancy Kerrigan fu picchiata con un bastone da uno sconosciuto mentre usciva dagli allenamenti. L’Fbi scoprì che il mandante dell’assalto era il marito della rivale Tonya Harding, Jeff Gillooly, insieme alla guardia del corpo Shawn Eckhardt con lo scopo di mettere Kerrigan fuorigioco alle Olimpiadi di Lillehammer e consentire alla Harding di conquistare l’oro.
Riletta dopo 23 anni, la vicenda Harding-Kerrigan sfondò decisamente i confini del ridicolo non essendo mai, per fortuna, drammatica, condita da mitomani e idioti chiusi dentro la nuvola dell’illusione di essere dei paraculi. Tutto annebbiato dai gas lacrimogeni lanciati dai media USA, inebetiti dall’esigenza di creare una cattiva, una bad girl, trovando il capro espiatorio in una ragazza che apparteneva all’America proletaria, una “red neck” dalla famiglia sfasciata da divorare 24 ore al giorno nei notiziari, nei quotidiani, nei tabloid e per fortuna che all’epoca (1994) non c’erano ancora i meme, i tweet e l’odio da social network.
Sebbene sia trattato con ironia, ciò che è serio e profondamente triste in I, Tonya è la storia di Tonya Harding, interpretata con forza sullo schermo da Margot Robbie. Al suo secondo ruolo da protagonista dopo Sopravvissuti (Z for Zachariah), Robbie restituisce una stronza cafona per la quale non si può fare a meno di tifare, una ragazza sboccata, gretta, ignorante ed orgogliosa di esserlo, capace solo di pattinare grazie al talento e alla determinazione di cui è stata attrezzata, ma visceralmente vittima nell’incapacità di elaborare delle difese ai maltrattamenti psicologi della madre e che, per sfuggire alla genitrice violenta, sposa il primo che capita che, guarda un po’, è il Soldato d’Inverno Sebastian Stan, un violento che la picchia col braccio bionico.
La trasposizione del fatto di cronaca che ne emerge è una sorta di La versione di Tonya. Harding ha pagato più di tutti per un crimine a cui probabilmente non ha partecipato e di cui forse era anche all’oscuro, ma la prospettiva di Craig Gillespie e la sceneggiatura di Steven Rogers (no, non scherzo, si chiama proprio così, Il Soldato di Inverno incontra di nuovo Captain America) non sono del tutto assolutori: lo slogan della protagonista è “It wasn’t my fault”, “Non è colpa mia”, un Bart Simpson in gonnella, sempre convinta di avere una scusa e un alibi.
Con buona pace di chi, come me, alla prima inquadratura ha esclamato “è troppo alta” oppure “è troppo bella”, Margot Robbie è semplicemente da Oscar anche se tutti saranno troppo distratti nel guardare il suo sedere stretto negli aderenti costumi da pattinatrice per accorgersene – a proposito, ero così distratto che non ho capito se lo esegue davvero il triplo axel… Un’altra almeno da nomination per Migliore Attrice Non Protagonista è l’irriconoscibile Allison Janney, che interpreta LaVona, la anaffettiva madre di Tonya, devoto solamente alla delfica convinzione che la figlia avrebbe potuto sfondare solo se trattata come immondizia. Qui, Rogers e Gillespie compiono un salto rispetto al mockumentary: raccontare la storia di una donna abusata psicologicamente e fisicamente da uno di quei genitori-dittatori, convinti che il frutto dei propri lombi avrebbe potuto, anzi, dovuto riscattarli da un’esistenza composta dalla materia di lavori da cameriera e delle millemila sigarette fumate aspettando la fine degli allenamenti.
Le migliori frasi e citazioni
Sputale nel latte
Sembravi una lesbica sgraziata
America! Vogliono qualcuno da amare. E vogliono qualcuno da odiare. E vogliono che sia facile.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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Forse il triple Axel non l’ha fatto, ma si è scannata quattro mesi sui pattini per sembrare credibile e, cazzo se c’è riuscita!! .. il film scommette (vincendo) in un qualcosa che sottolinei anche te: farti amare un personaggio negativo. In più ho trovato una Margot assolutamente empatica e darei un bel triple Oscar a lei, al film e a quel fenomeno di mamma stronza.
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