Perché È solo la fine del mondo di Xavier Dolan è un film assolutamente da vedere
E’ solo la fine del mondo è il sesto film del regista canadese Xavier Dolan, 27 anni, già giunto al sesto lungometraggio, che a Cannes 2016 gli è valso il Gran Premio della Giuria.
No, non ho detto Nolan, ma Dolan.
Da qualche parte, un po’ di tempo fa. È il cartello che appare a inizio film e trasporta subito in un’altra era e in un altro luogo che un nome e una datazione precisa non hanno, ma la storia è universale, perché gli uomini sono sempre gli stessi anche se soffrono di elevata schizofrenia maniacale con elevata rabbia narcisistica involontaria. Louis è uno scrittore di successo e 12 anni fa ha abbandonato la famiglia per inseguire i suoi sogni artistici e forse per liberarsi dal peso della mai completa accettazione del suo outing. Louis è gay e sta per morire. Nella filosofia tibetana, nell’interpretazione di Sylvia Plath lo so che stiamo tutti morendo, giusto? Ma noi non stiamo morendo come sta morendo Louis. Probabilmente. Avete fatto una TAC Total Body ultimamente? Insomma, Louis decide di tornare a casa per dire a sua madre Martine (Nathalie Baye), il fratello Antoine (Vincent Cassel) con sua moglie Catherine (Marion Cotillard), e la sorella Susan (Lea Seydoux) che gli resta ancora poco da vivere.
La giornata in famiglia si rivela più pesante del previsto, Louis ritrova gli incubi e gli affetti esattamente dove li aveva lasciati: la sorellina che non ha mai veramente conosciuto che si è fatta donna e desidera lasciare la piccola cittadina dove sono “rinchiusi”, il fratello forte, irascibile, che ha sempre una parola cattiva per tutti, la dimessa moglie che quando vuole sa colpire duro, la madre che cerca di mediare.
Ne esce fuori un film raccontato esclusivamente in interni, dove i dialoghi sono essenziali almeno come i silenzi, in cui ogni inquadratura, ogni conversazione, ogni ricordo, ogni sogno, risuona la vita, come se la sua fosse la materia di cui sono fatti i nostri giorni, in un’assonanza fondamentale, basilare, come se fosse carne, respiro, sguardi. Le inquadrature dicono tutto catturando angoli bui di emozioni quasi respinte, pensieri da cacciare in un angolo, parole che appena pronunciate vorresti ricacciare in gola, azioni e reazioni a volte solo sui visi che lo sguardo repentino di Dolan mostra e in quell’espressione, in quell’attimo capisci tutto.
È solo la fine del mondo racchiude la dicotomia fondamentale dei nostri dialoghi di tutti i giorni con un genitore, una sorella, un fratello che inevitabilmente si trasformano in una lotta, momenti che odiamo ma da cui in un certo senso dipendiamo perché hanno il caldo colore delle ferite inferte da chi amiamo.
Mi piacciono quei momenti con mamma anche se è una rottura. (Susan)
Si tratta di una delle battute più efficaci di E’ solo la fine del mondo. Xavier Dolan cura ogni dettaglio, dal rumore di una mano che sfiora una giacca durante un abbraccio, fino ai colori che compongono la tavolozza delle sensazioni dei nostri ricordi più nascosti, come le prime gite al mare di tarda primavera o il sesso furioso degli adolescenti. Un film che sembra un Malick che si prende la briga di raccontare una storia dall’inizio alla fine, senza rinunciare all’impressionismo della vita di tutti i giorni, una natura morta di umanità, una casa con poca luce e troppi mobili da anni fermi a prendere polvere.
***** A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…
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