Coco: recensione del film de zombi della Pixar
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Coco è er firme de zombi de la Pixar e pure de la Disney. Nella cittadina messicana de Santa Cecilia, ce sta un recazzino, Miguel, con la pelle ricamata che sogna di diventare un grande cantante come er suo idolo, Ernesto de la Cruz che è ‘na spece de Amedeo Nazzari cor sombrero, ma la sua famia nun vole. Non è un caso alla magnéra de genitori intellettuali che non vogliono che er fio partecipi ar Granne Fratello o X-Factor. La bis-bis nonna di Miguel Rivera fu mollata dall’omo canterino che voleva girà er monno ‘nfame con la chitara, ‘na sorta de Gianluca Grignani impanato dentro na quesadillas. Da allora, nella famiglia Rivera non se pò cantà o sonà, una roba che in automatico parte la ciabatta de nonna Rivera dritta sur collo. Il piccolo Miguel è esasperato e dicide di pijà parte all’X-Factor della sua cittadina ed esibirsi come un mariachi qualsiasi durante il Dia de los Muertos ovvero la Festa dei morti che abbiamo già visto nell’unica scena decente di Spectre.
A sto punto me viene in mente che Coco, in origgine, avrebbe dovuto da chiamà proprio Dia de los Muertos e Disney voleva pagare ricchi baiocchi al Governo messicano e quelli ce avrebbiro voluto aggiugne pure un paio de spiagge a scelta, ma è scattata la ribellione popolare che manco il muro anti-immigrati amerigano e così la Disney è stata obbligata a pijasse un sacco de messicani pe sudasse er pane cor firme e scanzà l’incidente diplomatico. Una roba che manco la petizione contro The Last Jedi. Vabbé, non divaghiamo. Quindi, Miguel vole addiventà un mariachi, certo non un mariachi all’Antonio Banderas prima della gallina Rosita, forse più come la gallina Rosita, del resto, cià paura della nonna, forse più un tipo all’Al Bano. Miguel rubba la chitara di Amedeo Nazzari dalla di lui tomba e cantà all’X-Factor de Santa Cecilia. Dopo il furto, come tocca la chitara, boom!, Miguel se ritrova nel regno dei morti, un po’ come la DeLorean ma, invece di portalo nel 1985, finisce in una cittadina incasinatissima ispirata a Guanajuato nel Messico centrale che poi sarebbe tipo ‘na liana dopo Tarzan insomma sarebbe l’Aldilà.
In questo giorno particolare, è come se i due mondi se toccassero, gli spiriti possono attraversà ‘a dogana e annà a trovà i parenti, i quali, in questo giorno particolare, espongono le foto de l’anima de li mort… insomma de li loro morti per ricordarli, offerendo robbe che ai morti je piaceveno in vita. A me, in questo giorno particolare, mia figlia e mia moglie dovrebbero arimedià ‘na copia abbastanza fedele della Signora Barry Lyndon, ma la vedo un tantinello tosta… ‘nzomma, ora la storia se complica e interessa fino a un certo punto. Ciò che conta è che il film de zombi de la Disney, sebbene la novità de li zombi, si struttura con una formula che se riconosce come le recchie de Topolino: il bimbo imbocca ’n contrasto con la famia, ma capisce a suon de schiaffi e botte ’n testa che solo con l’agliuto e il supporto della famia, senza scordà mai le propie origgini e non manco li propi avi scomparsi, se potrà svortà, che poi in fondo è il tema fondamentale e fondante de Rocky e de li sequel. Cosa sarebbe stato Rocky senza Adriana? Gnente, un bue che recuperava li sordi de la mala.
Tornato infine a casa, tutto sembra come al solito anzi meglio. In Coco funziona il coloratissimo aldilà e il recupero di alcuni trucchi e movimenti di macchina tipici dei vecchi film anni Trenta, alcune trovate degne di Miyazaki come il cane Dante che fa da guida a Miguel e la tigre volante spirito guida della bis-bis nonna. Spiritualità, magia, vecchie emozioni, Coco consente a Disney-Pixar di ampliare l’universo, non solo etnico, che da due decenni tenta di edificare: dopo i giocattoli parlanti, i pesci erranti, i robot quasi dotati di coscienza e la stessa coscienza umana, siamo ora alla messa in scena di una visione dell’oltretomba assolutamente luminosa e vitale e colorata, perennemente attraversata da musica e sfavillanti luci al neon, un mondo parallelo con un confine presidiato da una dogana e gli spiriti dei cantanti che organizzano delle mega feste hollywoodiane nelle loro villone spropositate, attingendo alle tradizioni messicane e arricchendo, così, la palette dei propri colori emotivi con tonalità culturali inedite rispetto a quelle più solite di origine statunitense ed europea. Un modo di intendere l’arte e l’animazione e applicarli alla più traumatica esperienza umana, la perdita, la morte e, quasi peggio della morte, l’oblio di chi occupò un posto speciale nei nostri cuori e ora non c’è più.
**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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Vorrei vederlo amando io gli scheletri😁😁😁🖤
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