La donna che canta di Denis Villeneuve
Potente ed eloquente il secondo film di Denis Villeneuve – escludendo i primi tentativi giovanili che lui stesso ha schifato più del grasso del prosciutto crudo: La Donna che canta valse al regista canadese il riconoscimento internazionale con dieci minuti di applausi al Festival di Venezia del 2010, evento che lui ricorda con affetto anche se non riuscì a scroccare nemmeno mezzo pasto in laguna durante la sua permanenza. Stranezze da festival.
Ecco la trama. Canada, 2009, una donna muore lasciando un testamento decisamente peculiare: i due figli, i gemelli Jeanne e Simon, dovranno ritrovare rispettivamente il padre e il fratello che non hanno mai conosciuto per consegnare loro delle lettere. Solo al compimento di questo atto potranno apporre una lapide con il nome sopra la tomba materna e allo stesso tempo riceveranno una lettera postuma del genitore.
La ricerca dei parenti diventerà un percorso nel dolore per conoscere il passato della madre, tra le pagine macchiate di sangue dei suoi anni giovanili nel Paese di origine, il Libano, scosso dalla guerra civile nella metà degli anni Settanta.
Senza alcun stacco di fotografia o indizio alcuno, seguiamo due linee temporali e narrative che ci conducono sempre più profondamente dentro il dramma del Medio Oriente: da una parte i gemelli che prendono coscienza di chi fosse la loro madre e cosa ha attraversato nella vita, e la stessa Nawal nella sua ricerca di un figlio lasciato all’orfanotrofio durante l’esplosione dei disordini tra cristiani e mussulmani.
Ne La donna che canta c’è soprattutto un tema caro a Villeneuve: il piegare il tempo alle necessità e agli obiettivi narrativi, che addirittura ritroviamo anche in Arrival. Il tempo gioca una parte fondamentale nel costruire il crescendo drammatico del film. Un’altra componente essenziale de La donna che canta è il racconto di una società allo stato tribale, in cui ci si fida solo di chi si conosce o di chi è presentato da qualcuno di cui abbiamo fiducia, un Medio Oriente che risponde a logiche di sangue e vendetta in una coazione a ripetere che non sembra avere fine e che si tramanda oralmente e geneticamente di padre in figlio, di madre in figlio.
Di contro, esemplificativo il dialogo tra i notai, uno libanese e uno canadese, che trovano un punto di incontro nella certezza che solo nella cultura del diritto e la supremazia della legge, attraverso l’espletamento degli atti formali e burocratici di cui proprio i notai sono gelosi custodi, la spirale dell’odio non sarebbe mai iniziata consentendo quella chiarezza su responsabilità storiche che manca quando il giudizio è eminentemente politico.
Le migliori frasi, battute, citazioni
-Mio zio credeva di incoraggiare la pace con le parole e i libri. Gli ho creduto. Ma la vita mia insegnato tutt’altro.
-Cosa vuoi fare ora?
-Insegnare al nemico quello che la vita ha insegnato a me.Mi creda. A volte non è necessario sapere tutta la verità.
La morte non è mai la fine di una storia. Restano sempre delle tracce.
Una promessa per un notaio è qualcosa di sacro.
***** A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…
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Film bellissimo, struggente ma in qualche modo motivante. Da questo film in poi Villeneuve non ha sbagliato un colpo. Hai visto Enemy?
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Sì visto anche Enemy. Non sbaglia nulla
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