The Accountant ovvero di come Ben Affleck fa Rain Man e spacca culi come se fosse Batman autistico
La prima impressione è importante e bisognerebbe ricordarla sempre quando si ha di fronte un personaggio con cui trascorreremo due ore e mezza. Tipo in The Accountant di Gavin O’Connor.
Bat-Benaffleckone fa il commercialista (lì in Ameriga li chiamano “consulente delle tasse” perché so’ seri e pure le tasse so na cosa serie) e aiuta due contadini strozzati dal Governo a metterlo nel didietro a Equitalia.
Gira voce che mentre lavorava al film, Bat-Benaffleckone abbia telefonato a Renzi per caldeggiare la chiusura di Equitalia: “Siamo criminali, Matteo, lo siamo sempre stati, non è cambiato niente”. Renzi gli ha portato un tè.
La cosa divertente è che il Bat-Benaffleckone ha preso molto sul serio il ruolo del giustiziere mascherato. In The Accountant interpreta un contabile autistico che è talmente bravo nel suo lavoro che tutti quelli che muovono fantastiglioni nel mondo si rivolgono a lui per nascondere e riciclare i loro soldi: trafficanti d’armi, malavitosi, cartelli della droga con punti di distribuzione sulla via Lattea (seconda stella a destra ma può essere a sinistra dipende da cosa ti sei fatto) megalomani proprietari di social network o aziende produttrici di altissima tecnologia per la sanità. Però a lui non piace lavorare con la gente onesta perché invece “i ladri hanno un loro codice d’onore”. Ha visto troppe volte Il Padrino. Siccome è affetto da un disturbo del neurosviluppo tipo Dustin Hoffman in Rain Man, invece di mandarlo in una comunità dove poter vivere ovattato dal mondo esterno passando le giornate a giocare con la Playstation 4, il padre lo allena tipo Daredevil alle tecniche di sopravvivenza, di combattimento e addestramento militare. Insomma, il Bat-Benaffleckone diventa un Dustin Hoffman che spacca i culi, maneggia 75 diversi tipi di arma, conosce una mezza dozzina di arti marziali e, a parte qualche uscita un po’ a cazzo con il suo prossimo, conduce un’esistenza abbastanza normale. Se non fosse che ascolta musica di merda, sta da solo tutto il tempo e quindi probabilmente si fa le seghe. Ah giusto, aiuta i boss della mafia a riciclare il denaro e spacca i culi usando fucili per l’antiaerea.
The Accountant aspira a essere tre o quattro film insieme: c’è la storia familiare, l’indagine FBI, il thriller fantaeconomico, il film psicologico. Rain Man e Batman i primi che mi vengono in mente, ma dentro c’è pure un agente FBI che vuole fare i conti col passato. La sceneggiatura di Bill Dubuque lavora su dubbi morali mica male: è giusto perseguire il bene attraverso il male? Ma soprattutto è lecito perpetrare il male attraverso il bene? Qual è il livello minimo di normalità che la società è disposto ad accettare per nascondere in una baita in mezzo ai boschi bambini affetti da disturbi del neurosviluppo? Perché il personaggio di Bat-benaffleckone ne è uscito abbastanza bene… E Ben Affleck esce la notte per andare a caccia di Pokemon menando i rivali? Altro dubbio: fino a quale punto si può copiare Batman prima di chiamarlo plagio? Insomma un Bruce Wayne senza maschera ma autistico può bastare a evitare l’intervento della Gestapo dei diritti d’autore? Forse sì.
Anche perché avrebbe privato di un bel film diretto da Gavin O’Connor. Con Ben Affleck ci sono JK Simmons, Jon Bernthal e Anna Kendrick. Non starò qui a tessere le sue lodi. È bona e mi ingrifa, pure la gobbetta che ha sul naso mi ingrifa.
Però, circa 300 parole fa scrivevamo all’inizio di questo post circa “la prima impressione”. The accountant ha una svolta abbastanza improvvisa e non vi stupirà mettervi a questionare sul giusto e lo sbagliato, il bene e il male, in un film di supereroi. Però non dimenticate mai la prima impressione perché, come disse qualcuno, “sono le nostre azioni che ci qualificano, non le parole”.
**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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