Amore tossico di Claudio Caligari
Colpevole il ritardo con cui recupero Amore tossico, film del 1983 che rivelò il talento di Claudio Caligari, talento ben scarsamente utilizzato dalla nostra industria cinematografica dato che nei successivi 30 ne ha girati solo altri due di cui uno praticamente postumo, Non essere cattivo.
Amore tossico è un film importante perché, con piglio documentaristico, racconta le vicende di un gruppo di tossicodipendenti di Ostia alle prese con la loro unica necessità: racimolare i soldi per comprare la droga. I problemi successivi sono: dove mi buco, con chi mi buco, speriamo che la dose non è acqua e che me prende.
Esemplare l’incipit, in cui un tossico sbrocca a un altro perché ha speso 2mila lire per comprare un gelato invece di risparmiarle per comprare la dose.
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“Dovemo svoltà”, ecco la frase ripetuta più spesso che sarebbe una espressione in slang per intendere il raggiungimento della cifra sufficiente per comprare una dose. Il linguaggio è tutto così: volgare, coatto, borgataro.
La sequenza di episodi che accompagnano l’esistenza dei tossici si contraddistingue di momenti forti come le scene in cui i ragazzi si drogano: Caligari non risparmia nulla, ci propone l’ago che entra in vena e il brown sugar iniettato. In realtà si tratta di composti ricostituenti ma per gli attori non avrebbe fatto davvero nessuna differenza: quasi tutti erano proprio dei tossici, attori di strada nella migliore tradizione del neorealismo.
Non manca la critica sociale e culturale. {SPOILER}. La sequenza finale dell’overdose di Michela è girata ai piedi della statua in memoria di Pasolini, mentre poco prima, la fase di preparazione delle siringhe (chiamate in gergo “spade”) del buco “di gruppo” a casa della pittrice (che nella realtà era una poetessa) si svolge utilizzando come piano di appoggio un libro di Pasolini. Una critica evidente della deriva che prese quel mondo legato alla poetica dello scrittore con l’emergere prepotente della cultura dello sballo e delle droghe.
Tra le scene più dure, Loredana che si “fa” iniettando la droga nel collo, le trattative per scambiare favori sessuali per stupefacenti e l’intera sequenza ambientata all’ambulatorio dove i tossicodipendenti prendono il metadone, un momento di uno squallore inquietante, emblema della società incapace di rispondere al vuoto esistenziale dei giovani.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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