Ad Astra, recensione: non a caso si è Brad Pitt
Viaggiare fino ai confini del sistema solare, percorrere 2714 miliardi di miglia per scoprire di essere uno stronzo egoista, che ha fatto soffrire Angelina e si faceva troppe canne. La storia di Ad Astra, il film di fantascienza di James Gray con Brad Pitt, è tutta qua e su quanto pessimo è il futuro che si prospetta: viaggeremo tra la Terra e la Luna sui razzi low cost, pagheremo 125 dollari una coperta, con le hostess che vendono profumi e lotterie; non esporteremo nello spazio solo Ryanair, ma anche la guerra, perché, in fondo, per trovare la pace basta solo spostare nello spazio il conflitto per la conquista delle risorse minerarie. E dopo aver salvato almeno due volte Matt Damon dai pericoli dello spazio profondo, ora usiamo le missioni spaziali per una costosissima seduta psicoanalitica.
A volte la volontà umana deve superare l’impossibile. H. Clifford McBride
Incapace di trovare pace grazie al progresso tecnologico, in un mondo in cui Brad Pitt sembra un pozzo di scienza e saggezza, l’umanità si lancia nella disperata ricerca di altre forme di vita nell’universo, forse per un consiglio, forse per aiuto. Brad Pitt è Roy McBride, un astronauta le cui pulsazioni non salgono mai oltre gli 80 battiti al minuto anche quando la moglie lo becca con un’altra, freddo, distaccato, anaffettivo. È figlio di H. Clifford McBride, eroe del programma spaziale, il primo uomo ad arrivare su Marte e su Giove e, dopo la cura Raggi, a percorrere tutte e tre le linee della metropolitana di Roma da capolinea a capolinea. Roy lavora sull’ultimo, ambizioso progetto dell’Uomo: lo smaltimento dei rifiuti nella capitale d’Italia… no, un’antenna, che dalla superficie terrestre si alza fin nello spazio in cerca di segnali di vita tra le stelle, ma un misterioso e improvviso picco di energia la distrugge. Roy è tra i pochi sopravvissuti. Che culo, del resto lui è stato con Angelina e noi con la signorina Silvani. La vita sull’intero pianeta è in pericolo a causa dei raggi cosmici provenienti da Nettuno, la meta dell’ultima missione del padre di Roy. Come in un brutto cartone animato degli anni Ottanta, perfino Nettuno ci bombarda. Forse è proprio il padre di Roy il responsabile dei misteriosi fenomeni energetici e il figlio è spedito ai confini del sistema solare a cercare il padre e trovare chissà cos’altro.

Devo accettare il fatto di non averti mai conosciuto veramente oppure sono io che sto precipitando verso il tuo stesso buco nero? Roy McBride
Ad Astra rievoca i classici del genere: 2001, Solaris, Interstellar (sarà la presenza di Hoyte Van Hoytema?), Gravity, ma anche First Man di Chazelle. Nel suo lungo tragitto fino in fondo alla Salerno-Reggio Calabria della galassia, Roy sarà l’ultimo uomo: se l’Armstrong di Ryan Gosling era il muto eroe di una conquista simbolo per tutto il genere umano, il viaggio di Roy/Brad Pitt è il percorso di un individuo in continuo dialogo con se stesso attraverso l’onnipresente voce narrante, scosso dall’assenza del padre e dalla sua disperata ricerca; al termine del viaggio comprenderà molto di se stesso e tantissimo dell’ossessione che noi, anche al cinema, abbiamo per le forme di vita intelligente che ci guardano con distacco, tenerezza o forse disprezzo. Ma se lassù non ci fosse nulla? Se la sfida non fosse che mantenere la sanità mentale e la decenza in tempi folli e indecenti? Gli astronauti del mondo pensato da James Gray sono continuamente sottoposti a valutazioni psicologiche, avendo visto Solaris e almeno una dozzina di altri sci-movie, qualcuno ha sentito puzza di bruciato e ha voluto prendere delle precauzioni. L’unica certezza dei viaggi nello spazio è che alla fine diamo di matto. L’esplorazione spaziale ci manderà fuori di testa, non sarà il caso di farci i cazzi nostri?
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