Loro 1 – Silvio e la pecor(in)a: recensione, cast e trama
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Nella riflessione sui fatti di cronaca, giudiziaria e personale, la vera sorpresa di Loro 1 è la “rielaborazione e reinterpretazione a fini artistici” di Paolo Sorrentino. Perché Loro 1 non è il racconto quasi giornalistico dell’Italia degli anni Zero del XXI secolo o, meglio, non è solo quello.
È dura lavorare per chi non sa fare un cazzo
La prima parte del racconto di Sorrentino della vita e le opere di Silvio Berlusconi è a sua volta rigorosamente divisa in due. In Loro 1, assistiamo all’ascesa di Sergio Morra (Riccardo Scamarcio), affarista e traffichino di Taranto che, insieme alla moglie Tamara (Euridice Axen), tenta il grande salto dalla provincia a Roma. Per farlo assolda donne bellissime che gli aprano, con le loro “qualità”, le porte più ambite: di potente in potente, di politico in politico, di burocrate in burocrate, di scopata in scopata, di striscia di coca in striscia di coca, arrampicarsi fino a Silvio Berlusconi e sedere al tavolo dove si fanno i grandi affari e girano i soldi veri. Qui il Cavaliere è solo evocato, mentre assistiamo al decadimento della materia viva della società, la corruzione morale che corrode e riduce gli esseri umani a un mezzo e non più un fine, carne da macello, schiene come pioli da calpestare per salire sul successivo, donne barattate, comprate, vendute, drogate, stuprate. La scalata di Morra si svolge secondo un lessico visivo che ricorda più lo Scorsese di The Wolf of Wall Street che Paolo Sorrentino, secondo passaggi che creano un filo rosso tra l’America corrotta della finanza e l’Italia spappolata della televisione: la droga, lo sfarzo, lo spreco, la cupidigia, la corruzione. Dopo che la pioggia di MDMA ha ricoperto tutto e annullato gli spiriti, appare Lui.
Una verità è il frutto del tono e della convinzione con cui la pronunciamo
Passo indietro. Loro 1 si apre con una scena che più di altre racconta il “Belpaese”. Mare, golfo, siamo in Sardegna, tutto lascia intendere sia la villa di Silvio Berlusconi. Una porta a vetri è aperta, nella stanza un televisore acceso trasmette, muto, un quiz di “Mike”. Tutti sorridono, tutti vogliono vincere, tutti vogliono arricchirsi. Un condizionatore d’aria si accende e progressivamente abbassa la temperatura della stanza, quando entra una pecora che si ferma e guarda la tv, l’apparecchio rimanda un sorriso di intesa e mentre l’animale è lì, imbambolato, la temperatura scende ancora: 3 gradi, 2, 1, finché la pecora stramazza a terra. Morta.
Quando Silvio Berlusconi entra in scena è con un travestimento. Appare dentro il quadretto della villa in Sardegna che avevamo visto già attraverso gli occhi di Morra e nella sequenza della pecora, ma all’improvviso una variabile cambia: seduto, al centro del panorama, c’è un’odalisca, che altri non è se non Servillo/Berlusconi travestito e la faccia di gomma grossolanamente truccata per il divertimento di Veronica Lario. Ma la moglie di Lui non ha più voglia di ridere, la coppia è in crisi per i ripetuti tradimenti di Lui e ora Lui cerca di riconquistarla. Seguono scene esemplari del Berlusconi uomo e politico, animale morale ed etico: la corte spietata al calciatore che resiste ai suoi richiami e vuole firmare per la Juventus; la lezione di vita e di menzogne al nipotino; le battutine alla moglie che legge libri impegnati che “parlano male di me”. In tutto il racconto, forse didascalico, forse telefonato, c’è l’irrequietezza di Berlusconi, politico che non sopporta di non stare al governo e deve anche rintuzzare l’OPA ostile all’alleanza del centrodestra di Santino Recchia (Fabrizio Bentivoglio), personaggio immaginario che richiama prepotentemente due figure di quegli anni, e la voglia di fuga del Berlusconi uomo da un paradiso illuminato ma dove si annoia e la cui unica via di fuga è, con la scusa di un trapianto di capelli, una sfilata di moda a Roma in compagnia di Noemi Letizia – uno dei pochi personaggi della cronaca berlusconiana ad apparire con il proprio nome e cognome. Ne emerge un Berlusconi più personale che pregiudicato, almeno in questo primo film: logorato ma indomito nell’esigenza di piacere a tutti, di conquistare cuori e menti, che sia il nipotino, la moglie, il calciatore e dentro cui ruggisce un cuore di conquistatore alla perenne ricerca di un sacrificio umano per il drago, una giovane donna che faccia battere il suo cuore ormai vicino a scaricarsi, un acquisto, una villa, un numero 10. Questa seconda parte è più “classicamente” sorrentiniana, con le grandi panoramiche perfettamente a fuoco, il soffermarsi, il rallentare, la battuta ad effetto.
Loro 1 è l’esemplificazione che, forse ha ragione Brecht “sventurata la terra che ha bisogno di eroi”, ma che i cattivi esempi di certo non aiutano, e che dietro la maschera gommosa di un leader politico e di un imprenditore, tutto il male perpetrato non è solo riversato sul ritratto che sanguina in cantina, ma il danno peggiore è rappresentato da intere generazioni lanciate nella rincorsa a un falso idolo, un Paese in cui la frase del Marchese del Grillo può essere comodamente parafrasata: “Perché io so’ io e voi nun siete un cazzo”. Il problema è cosa Loro sono disposti a fare per diventare Lui.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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“Loro”, nel senso di io, ad esempio, sono tranquillamente disposti a bypassare questo film. E pure quello dopo. 😉
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