Dark: la recensione e il paradosso spazio temporale Italia-Germania (occhio SPOILER)

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E venne il giorno in cui i crucchi girano le serie tv sui paradossi spazio-temporali, i wormhole e i viaggi nel tempo dopo che per anni li abbiamo bullizzati con Don Matteo e Medici in famiglia e professori alle elementari in risposta alle loro puzze che indossavano l’impermeabile sporco di Derrick.
Così Netflix ci propina la disfatta attraverso il suo servizio streaming e Dark sbarca nelle case del Belpaese. La serie di Baran Bo Odar e Jantjie Friese è un elaborato incrocio tra Lost, Les Revenant, Ritorno al Futuro, Stranger Things e gli enigmatici misteri tra il fantasy, l’horror e il fantascientifico al confine tra Stephen King e Twin Peaks. L’accostamento più forzato, ma anche il più diffuso, è quello con Stranger Things, probabilmente per motivi pubblicitari, per “vendere” al pubblico il nuovo “fenomeno” mediatico, o almeno provarci, ma ci sono alcuni punti di contatto. Come in Stranger Things si tramano cose losche in un’installazione governativa (una centrale nucleare) vicino una piccola città, come Stranger Things è ambientato (parzialmente) negli anni Ottanta e come Stranger Things tra i personaggi principali ci sono dei ragazzini che spesso girano in bicicletta perché i crucchi ci tengono alla salute del pianeta e, come in Stranger Things, alcuni di questi ragazzini scompaiono e “che palle signora mia un altro recazzino scomparso non se sa che ‘nventasse pe’ tenelli boni de sti tempi”.
La verità è che per ogni singolo tempo esiste solo una via ed un’unica via determinata e tracciata dal principio alla fine e rappresentante a sua volta un inizio”.
Dark inizia con un suicidio – non avete idea con quanta dignità si impiccano i crucchi -, poi prosegue con un unno che ha corso attraverso la foresta per trombare la milf vedova del suicida di cui sopra, in mezzo le sparizioni. Presto scopriremo che molto si nasconde dentro, sopra e sotto la centrale nucleare che domina il paesaggio di Winden e come una misteriosa grotta celi un varco inaspettato. Come appare chiaro fin dal cartello iniziale che cita Einstein (“La distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione ostinatamente persistente”) e la galleria di foto su un muro che ritraggono i personaggi in diverse epoche, i dieci episodi si svolgono in un loop temporale in cui alcuni possono muoversi liberamente, altri no. Ebbri di birra e colesterolo, i crucchi se la spassano alla grande e, sebbene la storia tenda irrimediabilmente a ripetersi, i giochi di incastri e i diversi strati impilati uno sopra l’altro sono avvincenti, i flash back e i flash forward consentono di scoprire giovani incendiari che da vecchi diventano dei pompieri e perfino un momento di televisione con i Dead or Alive.
Il cielo perennemente plumbeo di Winden cala addosso a tutto un pesante velo di oscurità, ispirato, come hanno spiegato Baran bo Odar e Jantjie Friese, al lavoro del fotografo newyorchese Gregory Crewdson, in cui i paesaggi di periferia sono percorsi da una presenza inquietante. A Winden la presenza inquietante è la pioggia. Winden è campione mondiale di pioggia. Piove sempre e i crucchi sotto la pioggia stanno bene: vanno in bicicletta, passeggiano nel bosco e partono in spedizione per un viaggio nel 1986 o il 1953, anche se in effetti siamo nel 2019. E gli ombrelli li comprano, ma li tengono appesi al muro. Prego esibire la prova numero 1.

Insomma, stanno sotto la pioggia, spesso senza nemmeno il k-way, ma con dei maglioni di lana spessa, di quella che pizzica al contatto con la pelle e che si impregnano di acqua così tanto che ti senti bagnato anche solo guardandoli. E so pure maleducati! C’è una scena in cui una tipa va a trovare una famiglia il cui figlio più piccolo è scomparso. Be, immaginatevi la tipa con una bella teglia di lasagne crucche in mano, una di quelle con le sfoglie di pasta verde, che parla del più e del meno e del bambino scomparso e del dolore e della preoccupazione e intanto sta diluviando e la tengono sulla porta mentre tutti i suoi vestiti si impregnano di acqua fin nelle mutande. Vedete? Vedete perché sono meglio di noi? Vedete come la maleducazione vince sempre? Perché ha una salute migliore! Prendono la pioggia per ore a quelle latitudini dove fa freddo cane pure a Ferragosto e non si ammalano, io passo una sera di dicembre allo stadio e poi trascorro tre giorni a letto con la febbre, questi ce se magnano a tutti e ormai manco je potevo più dì che semo creativi, l’originalità del sud Europa, la tivù italiana, pizza-vino-mandolino, e le Kessler le avemo inventate noi. Noi che si uccideva un Cesare quando questi andavano per alberi a mangiare le fusaie e oggi ci umiliano mostrandoci nelle loro serie tv ambulatori che rispondono al telefono anche a cena, le analisi del sangue consegnate a domicilio dopo due giorni e tutto funziona e fila liscio, ad eccezione dei recazzini che scompaiono in un wormhole dello spazio-tempo, un buco-nero-divora-bambini che casualmente è in Germania. Pure il wormhole vota per il Marco tedesco. Una volta ci consolavamo ridendo nei bar “Hai visto che merda Derrick? Ma che occhiali indossa?” oggi, anno domini 2017, Dark se magna pure Stranger Things, nun potemo compete, consegnamose alla Merkel, chiediamo asilo politico e televisivo. E giustiziate Don Matteo.
Comunque un luogo comune è vero: tedeschi-patate-kartoffeln. Ammazza quanto so bone alcune delle protagoniste come la milfona fisioterapista Maja Schöne e le studentesse Lisa Vicari e Gina Stiebitz. Prego esibire prova numero 2.
