Questi sono gli amabili resti cresciuti intorno alla mia assenza

Amabili resti è un film che ha un disperato bisogno di depositarsi. Perchè, forse, dopo le due ore di proiezione, il suo senso compiuto arriva solo alla fine e ti lascia riflettere. Il punto focale non è il limbo in cui Susie continua a restare attaccata alla vita e alla sua famiglia. La chiave non è Susie stessa ma la risoluzione della sua assenza, ovvero il dipanarsi dei fili dentro e fuori e tra le persone che subiscono la sua perdita.
Come se non bastasse, nella prima inquadratura, Wahlberg appare con i calzettoni bianchi a mezza gamba, una scena che mi ha fatto davvero male.
Infatti, se questi sono “gli amabili resti cresciuti intorno alla mia assenza” – l’apparente capacità di ripresa dopo la scomparsa e la perdita, e la lieve accettazione di tutto attraverso l’ultimo bacio di Susie – la possibilità di rendere la perdita quanto meno sopportabile non ha evitato l’amarezza.
Ha anche attirato la mia attenzione il bagaglio genetico della famiglia Salmon: padre castano scuro, madre con i capelli neri, tre figli biondi. Mendell si sta rigirando nella tomba.
Trattandosi di un’opera complessa, Amabili resti si muove su molti piani: c’è quello ultraterreno, un libero sfogo alla fantasia ma fermo e risoluto sui suoi riferimenti, non voglio dire alla realtà (come la scena della navi che naufragano sulle coste del mondo di Susie), ma anche all’inconscio.
È evidente che il faro è l’occhio di Sauron che tutto scruta.
Poi, i differenti mondi ordinati, chiusi e perfetti, forse illusori se non ingannatori (vedi la scena del confronto tra il detective e il serial killer) in cui si snodano i personaggi e che costituiscono l’ancora di salvezza di quello vero, in cui l’ordinata vita della provincia americana – tutte casette a schiera, giardini curati e giovani che fanno ginnastica – nasconde la violenza. Il pinguino chiuso nella palla di neve che incuriosisce a spaventa la piccola Susie; le navi che spiegano le vele dentro le bottiglie, tradizione familiare da trasmettere di padre e in figlio(a); le case di bambola del serial killer. E ancora la ripetitiva e ordinata vita agricola della madre, rifugio spirituale per negare la perdita. Tutti piccoli universi, perfetti, che trovano intrecci e specchi nel “Cielo” di Susie, quando lei precipita nel lago e sembra finire proprio in una casa di bambola, o nella scena dei velieri che naufragano.
C’è anche il palantir nelle spoglie mortali di un pallone.
Poi, tutti i piccoli mondi ordinati della fantasia dei personaggi sono messi sottosopra dal personaggio della nonna che, invece, riempie di disordine quello reale, riuscendo però così quasi a ricomporne la serenità.
Divertente il manifesto pubblicitario del libro de “Il Signore degli Anelli” che si vede nella libreria del centro commerciale.
Amabili resti è disseminato di momenti emotivamente importanti, costruiti intorno a piccoli fili a volte invisibili, una rete che assume una sua realtà solo alla fine. “Questi sono gli amabili resti cresciuti intorno alla mia assenza”, un’assenza che costituisce un universo quasi fantasy o ideale, più vicino alla Terra di mezzo che agli Stati Uniti degli anni Settanta. Pensateci prima di (ri)vederlo.
C’è anche Peter Jackson che gioca con una videocamera. Sembra nuovamente ingrassato
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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