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The Sinner ovvero i casi impossibili di Harry Ambrose in streaming su Netflix

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Sarà che sono in fissa da decenni con il Tenente Colombo, ma The Sinner su Netflix me lo ha ricordato. La stagione si apre con un prologo, un delitto e un colpevole, come ogni puntata di Colombo, ma il detective Harry Ambrose non trascorre il tempo a scoprire il colpevole, ma sostanzialmente a scagionarlo, prende un caso impossibile apparentemente chiarissimo e lo smonta pezzo a pezzo, mentre si dedica alla passione per puttane e giardinaggio. Non che il tenente Colombo andasse a puttane, sia chiaro, tanti hotdog, caffè, ma niente zoccole, almeno mi sembra. Ambrose è senz’altro meno produttivo di Colombo, impiega una stagione per ciascun assassinio, fin qui su Netflix ne sono disponibili due (la terza, andata in onda in USA, in Italia è bloccata dalla crisi del coronavirus) da otto puntate ciascuna, due serie autoconclusive con lo stesso protagonista. Alla fine l’Harry Ambrose interpretato da Bill Pullman scava e scassa così tanto il cazzo che riesce nel suo intento: pianta un casino così grosso, ricattando superiori e magistrati, implora i colleghi e litiga con tutti, che uno si scorda il perché Tizio o Caio è accusato e scopre gli insondabili e insospettabili drammi dell’omicida che uno pensa “porello, mandiamolo all’ospedale psichiatrico dai”. 

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Prima stagione

Ci hanno provato a imbruttire Jessica Biel, ma, per quanto provi, la sua Cora Tannetti è una bomba sexy, malgrado sia struccata, la pelle secca, i capelli zozzi con le doppie e le triple punte, una vita demmerda, una suocera impicciona, un marito triste, un figlio a carico, un lavoro demmerda. Ci sta, che una domenica al lago, i vicini di asciugamano mettano una musica demmerda e Cora sclera e accoltella uno a caso. Ci sta. Ecco gli effetti della musica e della vita demmerda sulla gente normale. Chissà cosa faremo noi quando usciremo e il coronavirus ci avrà reso tutti o quasi disoccupati. Scusate, ho divagato. Torniamo a Cora. Un giorno di ordinaria follia al lago, una normale madre di famiglia demmerda sclera brutto e accoltella uno senza motivo apparente di fronte a decine di testimoni. Gli strappano l’arma del delitto dalle nude mani. È completamente ricoperta di sangue. È colpevole. Un’orgia di prove. La potrebbero condannare già alla stazione di polizia mentre fa la doccia per lavare via i resti della vittima dal suo corpo. Ma Harry Ambrose non ci sta e indaga e indaga e indaga e più continuano a dirgli “no” più lui va a fondo alla storia, scopre segreti, misteri, morti, cazzi che non dovrebbe conoscere e scava in delitti di cinque, dieci, quindici anni prima. Perché in questo mondo demmerda niente è mai quello che sembra. O almeno non è solo quello che sembra, ma c’è dell’altro. C’è di più. 

Seconda stagione 

Prologo: un ragazzino avvelena un uomo e una donna che, in un primo momento, sembrano essere i suoi genitori. Il tredicenne Julian è stato visto raccogliere foglie di una pianta velenosa e preparare con esse un tè che serve ai due. Morti tra atroci dolori. È colpevole, non ci sono possibilità, addirittura il procuratore lo vuole togliere al Tribunale dei minori e processare come un adulto. Harry Ambrose non ci sta e scopre che quei due non sono il padre e la madre del ragazzino, anzi, nemmeno la donna che reclama il bambino come suo è la sua vera madre e scava e scava scopre delitti e crimini di 5, 10 e 15 anni prima. Perché in questo mondo demmerda niente è mai quello che sembra. O almeno non è solo quello che sembra, ma c’è dell’altro. C’è di più. 

Svolgimento

Le due stagioni di The Sinner iniziano descrivendo una situazione apparentemente normale – una famigliola al lago, un’altra che sta andando in gita alle cascate del Niagara – in cui irrompe un delitto atroce, sanguinoso, orribile. Scuote, fa sobbalzare dal divano, fa distogliere lo sguardo dallo schermo, il sangue che zampilla rosso brillante, la bava alla bocca. Sono solo apparentemente distanti Cora e Julian, ma esistono elementi in comune nelle loro storie, come i condizionamenti psicologici: la donna è cresciuta con una madre profondamente religiosa, piena di superstizioni che riversava sulle due figlie nel tentativo di controllarle e impedire loro di fornicare; da quando è nato, il piccolo Julian vive in una comunità di matti isolata nel bosco che adorano un sasso. Due situazioni che dimostrano quanto facciamo male un’educazione cattolica e crescere senza la Playstation. Harry Ambrose entra immediatamente in empatia con ciò che c’è di spezzato nelle vite e nella psiche di Cora e Julian, perché il “peccatore” (the sinner in inglese) è lui. Ambrose non è un uomo perfetto, anzi. Ha problemi con la raffinata moglie che ama le passeggiate all’aria aperta, i viaggi, gli aperitivi radical chic con amici radical chic, Harry è sempre distante, è come se fosse da un’altra parte, non c’è niente che ti assorba di più di una vita da salvare e gesti estremi da spiegare. Inoltre, Harry è segretamente dipendente da una prostituta cicciona, gli piace essere picchiato, strangolato, umiliato dalla sua dominatrice; nella seconda stagione, scopriamo che la madre di Harry aveva problemi psicologici e fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico quando lui era appena adolescente, orfano e abbandonato a se stesso. Harry nasconde nel suo passato segreti e ferite, è in questo luogo, dove disperazione e rimpianto si mescolano, che Harry entra in contatto con Cora e Julian, i quali sono le prime vittime di una vita difficile. È qui che The Sinner vince la sua partita: non è solo un’indagine su prove e fatti contestualizzati, ma è l’analisi della psiche di un uomo e di quella dei carnefici che per primi furono vittime.  

Tra la prima stagione e la seconda ci sono dei deja vu. Innanzitutto Ambrose deve dire almeno un paio di volte “andrà tutto bene” e, in questo momento storico, la cosa vi/mi ha fatto corriere i brividi lungo la schiena. C’è la presenza liberatoria dei boschi, nascondiglio di assassini, cadaveri e dei misteri della Natura indifferente, che esercita la sua influenza sugli uomini e le donne; poi il controllo mentale di un uomo/donna su altri, lo stesso che cerca Ambrose nelle indagini, l’unico momento in cui riesce ad averlo completamente, mentre la vita e le persone che ama gli scivolano via; poi ci sono i flashback, che, a un certo punto di entrambe le due stagioni, sembrano prendere il dominio sul presente, come in un brutto trip, per poi tornare alla realtà.

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Se la prima stagione lancia tanti temi e, poi, li risolve in modo forse frettoloso e sciatto, la seconda è dominata magistralmente a livello di sceneggiatura e dalla prova degli attori: per quanto le vicende di Julian, della comunità di fanatici, del passato di Harry e gli altri personaggi ci portino lontano, dentro i boschi dove le anime restano appese alle loro colpe, torniamo sempre al punto fondamentale: colpa ed espiazione, chi è veramente colpevole se ci facciamo del male ogni giorno? Bill Pullman è un Ambrose giustamente riluttante, ma determinato nel suo lavoro, Carrie Coon infila l’ennesima prova enorme, qui leader di una setta dopo che in The Leftovers l’aveva affrontata dall’altra parte della barricata. Il confronto finale tra Vera e Harry è una scena potentisissima e catartica, come in una tragedia greca. 

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