Marvel’s The Punisher su Netflix: recensione, cast, trama e il manuale del perfetto supereroe
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Dopo la presenza nella seconda stagione di Daredevil, dallo scorso 17 novembre 2017 Netflix ha reso disponibile per lo streaming la serie tv ispirata al personaggio Marvel The Punisher. Tredici episodi con protagonista Jon Bernthal nei panni di Frank Castle, che si gode la morte lavorando come muratore. I guai non riescono a stargli lontano e, dopo aver litigato con i colleghi per problemi di straordinari – Frank ne faceva troppi, ah i sindacati, anche contro di loro serve un vendicatore cinque stelle e fucile a canne mozze -, crepe intaccano l’anonimato di The Punisher; mentre l’agente Madani della Homeland Security indaga sulla morte di un informatore afgano a Kandahar, legami inaspettati uniscono Castle all’analista NSA David “Micro” Lieberman (Ebon Moss-Bachrach); anch’egli ha messo in scena la propria morte per proteggere la famiglia dopo che pezzi corrotti dell’Homeland Security e della CIA hanno cercato di ucciderlo a causa di un video inviato all’agente Madani in cui è ripreso l’assassinio che li inchioda a un traffico di stupefacenti, lo stesso che ha portato al massacro della famiglia di Castle.
La resurrezione sembra essere l’attività più in voga nella New York post battaglia con i Cetauri e avvento di Avengers, Daredevil e tutta la simpatica compagnia. In tale contesto cine-televisivo, The Punisher è una raffica di fucile d’assalto automatico. Da quando nacque come villain di Spiderman, cinema, televisione e fumetti sono stati invasi da vendicatori, vigilanti e punitori di vario genere. Portare nel 2017 The Punisher in tv rischiava di essere un’operazione copia e incolla di tante altre, invece Steve Lightfoot e compagnia sono riusciti a tratteggiare un potente sottotesto, molto contemporaneo e attuale, calando Frank Castle e i suoi commilitoni nel dramma sociale degli ex soldati che faticano a trovare il proprio ruolo nella “società civile” dopo che, per un motivo o per un altro, la loro guerra è finita.
Per la prima volta in vita mia non ho una guerra da combattere e, devo essere sincero, io… ho paura. Frank Castle
C’è un centro di gravità dentro The Punisher: è il circolo per reduci di guerra gestito dall’amico ed ex compagno d’armi Curtis (Jason R. Moore). Qui Castle si nasconde ad ascoltare le storie di altri ex militari; è questo posto che finanzia Bill Russo (Ben Barnes), anche lui soldato con Curtis nonché amico fraterno di Frank, per lavare le mani sporche del suo successo; è qui che prende il via la drammatica vicenda di Lewis che terrorizzerà New York con i suoi attentati, coinvolgendo la vecchia amica di Castle, Karen Page (Deborah Ann Woll, sempre sia lodata). Ma se lui sarà solo una distrazione, è qui che la serie tv Netflix racconta le ferite dell’America sconvolta dal Disturbo post traumatico da stress della guerra senza fine tra Iraq e Afghanistan. Tutto intorno si snodano la missione suicida per scoprire i veri responsabili del massacro della famiglia di The Punisher, la caccia all’Agente Orange, il responsabile CIA di Kandahar che ha tradito Frank. Lo aiuterà Micro, incrociando il percorso con il peggior agente dell’Homeland Security mai visto, Dinah Madani (Amber Rose Revah) che riesce a beccarsi una pallottola anche con il fattore sorpresa a suo vantaggio e che trascorre tre giorni chiusa dentro casa sotto le coperte coccolata da mamma perché le è morto il partner in un conflitto a fuoco.
Resta in guerra al lungo e ti corromperai se non hai un motivo. A Frank lo hanno tolto. Curtis
Ciò che rende The Punisher qualcosa di più di una vendetta o la caccia a un terrorista, ma quasi un film indie degno del Sundance è il drammatico contesto di uomini dalla vite spazzate via dalla guerra, incapaci di trovare una loro dimensione, dilaniati dal rimorso o incapaci di assistere inermi al disprezzo della cosiddetta vita civile nei confronti dei valori che hanno cercato di difendere, incubi in pieno giorno e la fratellanza del dolore che si instaura tra di loro e il rispetto tra ex camerati. Sarà ciò che lega Frank, Curtis e Bill, che culminerà in una delle scene con ostaggio più incisive mai viste tra cinema e tv, con ex amici che si tengono sotto scacco e sotto tiro, ma cercano di fare la cosa giusta dentro un codice tra soldati che non può essere violato. Questo è l’unico momento di contatto tra le rispettive solitudini, vissuto tutto nelle inquadrature squilibrate, primi piani in cui il personaggio è spostato rispetto al centro dello schermo e circondato dal vuoto, uno stile che ha accumunato tutti i registi che si sono alternati dietro la macchina da presa: il distacco, l’alienazione, l’impossibilità della vicinanza tra esseri umani.
Dannazione Frankie. Adoro vederti lavorare. Bill Russo
Infine, in un tempo in cui siamo sovraesposti ai personaggi dei fumetti, buoni, cattivi, antipatici, simpatici, volanti o sparanti, The Punisher è un piccolo vademecum sul moderno supereroe senza poteri. Ovvero, Frank Castle ferma le pallottole con il corpo e recupera un polmone collassato in due ore, parla al telefono appoggiandolo sopra due strati di zuccotti di lana comprati al mercatino delle pulci e che probabilmente hanno le pulci, apre le scatolette di trippa al sugo col coltello e mangia col coltello, ha bisogno di un infermiere che lo rattoppi, un hacker che lo aiuti nella ricerca e un’amica bona che vibra per lui ma che per rispetto non scopa. Ormai l’archetipo del supereroe, non potrà fare più a meno di questi standard.
Ultima annotazione per Jon Bernthal che ha rubato la faccia schifata di uno che ha acciaccato una cacca al nostro Libanese, Francesco Montanari, ma che ormai fa sempre lo stesso personaggio che uno fa fatica a trovare le differenze.