Visioni (di molto) successive/Exodus-Dei e Re e formiche

Così ho portato la piaga nel piccolo mondo delle formiche.
Un cartello di 40 parole riepiloga 400 anni di storia degli ebrei in Egitto (e con il sottofondo di una voce angelica che mi fa sempre pensare a Giannina Facio che prova a rimorchiare Ridley Scott) e dopo un prologo nel palazzo del faraone, entriamo subito nella battaglia: gli egiziani fanno la guerra preventiva agli ittiti. Mi ricorda qualcosa. Sti ittiti sembrano i somali di Black Hawk Down. Li ricordate? Brutti, sporchi, selvaggi. C’è di mezzo anche una profezia e due spade regalate dal faraone al figlio Ramses e al nipote Mosè. La battaglia non va benissimo, ma la profezia aveva visto lungo: un comandante sarà salvato da un altro comandante, ma infine sarà quest’ultimo a comandare. Così Ramses va in battaglia con la sua discretissima armatura d’oro in mezzo agli ittiti zozzi, ma è salvato da Mosè. Infatti, i somali-ittiti abbattono la biga-black hawk del principe d’Egitto che non spara missili ma è tutta accessoriata. Ha pure l’autoradio, ovvero 24 voci bianche che cantano inni a Horus. Na cosa extralusso, al concessionario Ramses ha lasciato mezzo Nilo per portarsi a casa sto gioiellino. L’erede del faraone Seti soffre la personalità di Mosè che c’ha na bella abbronzatura e pure li capelli sempre pettinati che pare un Ferzen moro, mentre lui è pelato e sfoga la carica erotica repressa con i suoi cobra di allevamento dai quali estrae il veleno per preparare i cocktail per l’aperitivo del sabato sera. Insomma, Ramses soffre talmente tanto il cugino che quando Seti affida a lui il compito di recarsi a Pitom per controllare gli schiavi perché la produzione va a rilento, Mosè dice “vado io” e Ramses muto. Del resto, mejo sta a Menfi a giocà coi serpenti.
Secondo recenti studi, il miglior rimedio dopo una serata passata a bere spritz allungato con veleno di cobra è una collana fatta con le foglie della Danae racemosa, un’idea praticata già migliaia di anni fa in Egitto. È scritto in un papiro detto di Ossirinco, decifrato e tradotto da poco, e che contiene – oltre a questo – tanti validi consigli per la salute, direttamente dall’Egitto dell’antichità.
Pitom è na fogna a cielo aperto, c’è na puzza che fa sentì male pure Mosè che ha frequentato i peggiori bordelli fenici. Il vicerè che la governa è ‘na testa de cazzo e allora Mosè decide che per sedare la nascente rivolta è il caso di parlarci sopra. Tra gli anziani degli ebrei schiavizzati c’è Gandhi-Kingsley che rivela a Mosè che lui è un ebreo salvato dall’editto del faraone che pretendeva che fossero uccisi tutti i primogeniti. Ao, Mosè abbocca anche se fa il difficile. Insomma, nel tempo che Charlton Heston l’aveva a malapena annusata a Nefertiti, Ridley Scott ha già spedito Christian Bale nel deserto a riflettere su quella porcata di American Hustle. Siccome è un fico, nel deserto Bale/Mosè becca l’unico allevatore de pecore pieno di figlie femmine e si sposa la più bona.
Passano nove anni. Mosè li trascorre trombando e dimenticando come si passa l’eyeliner intorno agli occhi e il gel sui capelli. Però, come a Menfi, non mancano gli occhi verdi e azzurri che a quelle latitudini sono una bella sventura con tutto quel sole e il riflesso della sabbia. Chi glielo spiega a Scott? C’è un volontario? Un Deckard qualsiasi che fa un test Voight-Kampff pe’ capì da ndo cazzo arrivano tutti ‘sti tizi coll’occhi chiari? Poi un giorno, Bale-Mosè porta le pecore a pascolare troppo in alto, lo sorprende la tempesta, una di quella che Petar, l’amico pecoraro di Heidi, avrebbe previsto e se sarebbe trovato na grotta dove schiacciare una pennichella e magnasse i panini al formaggio. Lì, nel deserto, quando piove, piove forte e Bale-Mosè – che un giorno porterà gli ebrei fuori dall’Egitto fino in Palestina (che qua chiamano Canaan pe nun fa ncazza nessuno) – si perde tre pecore su una montagna. Andateci voi in montagna con le pecore e senza Gps. Bale-Mosè casca e una valanga lo travolge e un sasso gli spacca la testa. Bale-Mosè vede un bambino che gli dice “torna in Egitto e libera il tuo popolo”. Noi, 2015 anni dopo Cristo, la chiamiamo commozione celebrale, Mosè lo chiama tocco di Dio, Christian Bale il momento di lucidità degli alcolisti. È una questione di punti di vista. Così, una volta messi tutti d’accordo, Bale-Mosè lascia la moglie bona e parte per l’Egitto.
Fine primo tempo.
Le formiche si sanno organizzare. Hanno delle pattuglie che vanno in avanscoperta e relazionano la regina se hanno trovato cibo. Se non tornano, la regina dice ai suoi “è stata la volontà di dio”… Che poi sarei io.
Intanto Ramses mastica chewing gum e schiavi. Il suo è un regno del terrore. Invece, senza più il parrucchiere di Marie Antoniette, Mosè ha perso il sorriso e pensa solo alla guerra. Inizia le operazioni terroristiche e il primo obiettivo è tagliare i rifornimenti agli egiziani per far soffrire la fame al popolo e provocare una rivolta contro Ramses. La carestia, le vacche magre. In questo punto preciso del film, ho avuto io il momento di lucidità e ho pensato: cazzo! Una lettura iper realista delle piaghe d’Egitto, una guerra civile per la libertà del popolo ebraico. Genio! Mito! Invece, in un dialogo tra Mosè e Dio, l’uomo spiega la sua strategia da generale per spezzare la resistenza del nemico, non importa se ci vorranno intere generazioni, ma è la divinità che ha fretta e vuole vincere subito la guerra e scatena le terribili piaghe.
Ora, in quello che è seguito non c’è stato un briciolo di inventiva, di occhio, di visione. Gli effetti sono spettacolari ma fini a se stessi, non c’è magia nello sguardo di Scott verso eventi tramandati lungo il corso della storia dell’uomo e che costituiscono un primordiale patrimonio culturale comune almeno a tutto l’Occidente.
Tutto quello che segue è ovvio e mi ha fatto sentire la mancanza di Charlton Heston e i suoi Dieci comandamenti… Le rane, le cavallette, il Nilo rosso e la strage dei bambini, Ramses che soffre di ansia e va a controllare il figlio dodici volte ogni notte… John Turturro tutto pelato che qui è al ruolo più credibile da Barron Fink… Attori palestinesi e iraniani abituati a lavorare con Amos Gitai che se sputtanano per Hollywood. C’è pure la moglie di Stannis Baratheon che qui interpreta la sorella di Mosè. Alla fine c’è pure il cameo di Giannina Facio che ormai fa come Stan Lee.
In tutto questo nostro sentirci piccoli rispetto alla potenza divina mi rincuora la possibilità che anche io, nel mio piccolo, possa aver ucciso la Giannina Facio del piccolo formicaio di casa mia. So’ soddisfazioni.
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