Venom ovvero Tom Hardy che mangia pepite di pollo ancora surgelate
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Ricordate quei film sui supereroi degli anni Ottanta-Novanta, con effetti speciali demmerda e sceneggiature da quattro soldi? Coi costumi di gomma e le battute fomentate e urlate per far capire che erano fighi? Beh, visto uno hai visto Venom.
Eddie Brock (Tom Hardy) è un fighissimo giornalista televisivo molto bravo e sufficientemente cagacazzi. Lo capiamo subito perché ha la parlantina spiccia di uno yuppie di Wall Street che si sforza di parlare gggiovine e legge sempre quello che ha scritto su un taccuino che fa tanto Woodward e Bernstein. Cammina, guarda in camera e legge: Darwin aveva ragione, l’evoluzione vince sempre. Solo che Eddie pesta il callo del maschio alfa sbagliato, un multimiliardario della Silicon Valley che sembra un incrocio tra Elon Musk e Jeff Bezos (ecco gli anni Duemila), Carlton Drake (Riz Ahmed), uno che, prima, ha fatto i soldi combattendo il cancro ma, poi, ha capito che fa troppa fatica e decide di sperimentare l’innesto nel dna umano dei simbionti alieni che coltivava nella sua stazione spaziale di modo che, questa nuova razza, possa colonizzare lo spazio. Quanto potere economico ha un uomo che può permettersi missioni spaziali di tale portata, un tempo appannaggio esclusivo degli Stati? Ma soprattutto: quale implicazioni di peso morale ed etico comportano tali scelte? Sono temi che non interessano, neanche a me a dire il vero: io voglio solo la caciara.

Così, la stazione orbitante di Drake precipita sulla Terra e, dei 4 alieni che ospitava, uno se ne va a spasso per l’Indonesia e gli altri tre arrivano a San Francisco dove il nostro multimiliardario nel multiverso Sony-Marvel (sapete bene, qui Spider-Man e gli Avengers non c’entrano niente ma sempre di Marvel sia tratta) deve ricostruirsi una verginità dopo l’incidente spaziale, così decide di farsi intervistare da Eddie col taccuino in mano. Solo che il giornalista tromba con la tipa giusta che guarda caso fa parte del team di avvocati che difende il cattivo e, sbriciando nel suo computer, scopre alcuni segreti che sarebbe meglio restassero tali. Invece Eddie li annota sul taccuino e quando un giornalista scrive una cosa sul taccuino non ce so cazzi, lui va fino in fondo, deve farla la domanda anche se gli costa la casa, il mutuo, il gatto e la ragazza.
Brock è licenziato dal conglomerato televisivo multinazionale che ha le mani in pasta col Musk dei poveri interpretato da Riz Ahmed. Il capo gli chiede addirittura le prove delle sue accuse, ma Eddie tace pensando che avrebbe inguaiato la sua ragazza (sebbene io creda che, sbirciare la posta di qualcuno, anche se te la scopi, non sia proprio un’operazione da Manuale Deontologico del Giornalismo, edizione 2018, aggiornata da Woodward e Bernstein). Ora, Riz fa gli occhioni tipo il Gatto con gli stivali quando ti vuole tirare una sola ma sotto sotto è cattivo forte e nun se dimentica del giornalista col taccuino che gli fa la domanda sbagliata, così Eddie finisce in mezzo a una strada, però regala biglietti da 20 dollari ai barboni. Pure la ragazza (una gommosa Michelle Williams) finisce per stracci ma lei se la cava, è Michelle Williams e rimedia un dottorino che la porta a cena fuori.

Uno così, in Italia diventerebbe un eroe, aprirebbe un blog che macina milioni di euro e in due giorni diventerebbe almeno Ministro del Lavoro, io credo anche negli USA di Trump, ma nell’universo parallelo del Venom della Sony-Marvel un giornalista così diventa un morto de fame. Da non crederci, non trova lavoro nemmeno come lavapiatti. “Ehi, ma tu sei Eddie Brock? No, non ti posso assumere, magari scopri che il sapone che uso non è esattamente biologico e che il sushi…”. Va bene, ok, lasciamo perdere. Io guardavo il grande schermo e gli urlavo “apri un blog! Apri una pagina Facebook e scrivi di vaccini. Non hai bisogno di verifiche, non hai bisogno di fonti, apri un blog e INVENTA”, ma gnente, non c’è stato verso Eddie è affezionato “alla parola scritta” (giuro, lo dicono).
Il nostro eroe se la lega al dito e, nel tentativo di fregare l’uomo che lo ha fregato, si introduce nel laboratorio supersegreto nascondendosi sotto il tappetino dell’auto di una ricercatrice, si becca un brutto simbionte, che gli causa raffreddore, tremori, una fame irrefrenabile, vomito e ancora fame. Così Eddie mangia le pepite di pollo della Findus ancora congelate, gli arrosticini crudi e non sto a spiegare cosa fa con i bastoncini di pesce fin quando irrompe in un ristorante e divora un’aragosta cruda.
Il nostro eroe capisce che il problema non è il simbionte in sé ma il simbionte dentro di lui, il quale sviluppa subito un discreto senso dell’umorismo e una certa fatica a dimenticare i fatti essenziali della vita: chi ti dà da mangiare, qual è la mano che non devi mordere se vuoi campare e chi è la donna della tua vita un attimo dopo aver affermato che può leggere tutto nella mente di Eddie.
Da un film così sconclusionato e con una sceneggiatura scritta veramente con frasette di riciclo di vecchi film (“Come stai? Una crema”, giuro, lo dicono) ti dovresti almeno aspettare delle sequenze di azione ultraspettacolari, ma il vostro affezionatissimo le ha vissute del tipo “che è sto fracasso? Sto cercando di dormire”. Caciarone e banale, c’è un lungo inseguimento al nostro Brock in moto che pare preso da Supercar o A-Team, più scazzottata finale tra simbionti. Il momento più alto del film è quando Venom entra dentro Michelle Williams provocando un principio di inturgidimento subinguinale nei presenti, se non fosse che Michelle è così inespressiva e fredda che nemmeno Venom si è eccitato più di tanto.
*1/2 Male, signor Anderson. Sono deluso, molto.
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