Searching for Sugar Man: Hello only ends in goodbye
Quando il Charlton “Taylor” Heston del futuro entrerà nei cenotafi della nostra cultura ormai morta e sepolta, vorrei potesse trovare un vecchio dvd o blu ray di Searching for Sugar Man in modo da poter far vedere ai figli e nipoti dei nostri figli e nipoti, tra 400 anni o giù di lì, che la società consumistica del XX secolo fu in grado di elaborare qualcosa di altro rispetto alla corsa alla fama e il successo, che il talento riusciva a valicare i limiti posti dai media e dal muro invisibile rappresentato dalla ristrettezza di vedute. L’ingordigia del denaro e quello che questo ha prodotto in seguito. Perché difficile è confrontarsi con le favole quando te le trovi davanti, difficile fare i conti con i propri sogni spezzati e rialzarsi e trovare in ogni modo la strada per essere se stessi. Searching for Sugar Man è tutto questo. Una favola del nostro tempo.
Inizio anni Settanta. Due produttori statunitensi vedono in un locale un cantante interessante. È un po’ frutto del suo tempo, un figlioccio di Bob Dylan e seguenti, critica sociale, poesia, droghe, folk, blablabla. Si chiama Rodriguez. Gli producono un disco. Va male. Gliene producono un altro. Va malissimo. Niente. Rodriguez sparisce. Qualche anno dopo, la leggenda narra che una ragazza americana con un fidanzato sudafricano, portò in Sud Africa una copia del primo disco di Rodriguez, Cold Fact. Il disco piace, se ne cercano altre copie ma è introvabile. Cominciano a diffondersi copie pirata. Con difficoltà arrivano dei dischi di importazione. Dopo qualche anno, una copia di Cold Fact è presente in tutte le case di quei sudafricani che si potevano permettere dei vinili e un impianto stereo che li suonasse, vicino a Abbey Road dei Beatles e Bridge over troubled water di Simon e Garfunkel. I suoi versi ispieranno i primi movimenti anti apartheid e i gruppi che furono la colonna sonora delle ribellioni di fine anni Settanta e inizio Ottanta e che porteranno al collasso del sistema. Insomma un mito.
Il punto di questa storia è che non solo in un paese isolato politicamente e commercialmente dal resto del mondo era impossibile ottenere qualsiasi informazione su questo Rodriguez, ma lo stesso Rodriguez non saprà mai – o meglio solo parecchi anni dopo – che in Sud Africa era venerato come un dio, “più famoso di Elvis Presley”, mentre lui faceva il manovale quando capitava, cresceva con umiltà e tanta dignità le sue tre figlie e non riceveva il becco di un quattrino. Gli sarebbero stati utili quei soldi quando decise di correre per diventare sindaco di Detroit, convinto di poter fare qualcosa per i suoi concittadini, soprattutto quelli più poveri e i disadattati e i disagiati. Arrivò 169mo.
Quando il Sud Africa si aprì al mondo rinunciando all’apartheid, qualcuno si chiese chi fosse questo Rodriguez. È stato grazie alla tigna di un giornalista e un ex militare che i due, studiando i versi delle canzoni per trovare una traccia, una qualsiasi, hanno scoperto che Rodriguez non solo non era morto come recitava la leggenda ufficiale – suicida dopo un concerto andato male – ma che viveva a Detroit, non lontano da dove lo avevano scoperto i suoi primi produttori e ignaro di aver ispirato con i suoi versi milioni di persone dall’altra parte del mondo.
Cazzo. La botta di Searching for Sugar Man arriva dopo. La prima mezz’ora è un po’ lenta e noiosa, sembra il classico documentario che ricostruisce la vita, l’opera e l’arte di qualcuno. Ma poi svolta. Lo svedese Malik Bendjelloul costruisce un film lavorando su molti livelli. Searching for Sugar Man è un racconto sul talento, sul perché uno che all’ascolto sembra dotato, che coloro che all’epoca lo scoprivano ritenevano molto talentuoso e meritevole, in patria fosse completamente sparito dal radar. Però il suo talento non è passato inosservato e qualcuno si è accorto di lui. Ma in un paese isolato dal resto del mondo e in un’epoca pre-world wide web era così difficile ottenere notizie che la sua assenza è diventata parte del mito. Quelle copertine e note sul disco, costituivano l’unica fonte di informazione. Un po’ la ricordo ancora quell’epoca, quando vivevi di riviste specializzate e quelle poche cose che passavano in tv.
Oggi siamo sommersi dall’informazione e dall’essere connessi. E la peculiarità di Rodriguez è che lui non ha internet, non ha nemmeno un telefono. È stata sua figlia a trovare un web site aperto dai tizi di cui sopra e a scoprire un mondo. Ed è qui che arrivo, al protagonista. Perché malgrado il suo essere schivo, Searching for Sugar Man è un film su Rodriguez e la sua musica, la sua dignità a mettere da parte il suo sogno e accettare il più umile dei lavori per allevare le sue figlie, insegnare loro l’amore per le arti e la cultura, il cercare di essere una parte attiva della sua comunità, lasciare agli altri la corsa alle cose e agli oggetti, accettare il proprio destino ma cercare di fare il massimo per andare avanti ogni giorno secondo i propri principi.
Da quando Rodriguez è stato “scoperto” dai sudafricani, è arrivato da superstar in Sud Africa, ha cantato tantissime volte davanti a un pubblico adulante, e ogni volta ha dato i suoi soldi a chi gli stava vicino e ne aveva più bisogno. Ci vuole un equilibrio e una serenità per vedere morire così i propri sogni, inferiore solo a quello necessario per riscoprirli dopo quarant’anni e non lasciarsi travolgere.
Io non esito a pensare che Charlton “Taylor” Heston non crederà a quello che vedrà sullo schermo – o all’ologramma o il tablet sottocutaneo o qualsiasi altra cosa abbia preso il posto dei nostri televisori – come noi non crediamo che Manzoni abbia trovato un manoscritto e ne abbia fatto I Promessi Sposi. Una storia così, in effetti, non può essere vera.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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Io ho fatto fatica a crederci finchè non ho controllato a casa. E’ una bellissima storia, raccontata benissimo. E canta dieci volte meglio di Dylan.
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