Black Panther: Wakanda Forever – recensione
Black Panther: Wakanda Forever è il 30esimo film del Marvel Cinematic Universe, nonché capitolo finale della così detta Fase 4 del MCU e sequel di Black Panther. Ryan Coogler dirige dopo averlo scritto insieme a Joe Robert Cole, il cast di Black Panther: Wakanda Forever comprende Laetita Wright, Lupita Nyong’o, Angela Bassett, Martin Freeman, Danai Gurira.
La visione di Black Panther: Wakanda Forever mi lascia un misto di sensazioni ed emozioni, perché al fianco di una serie impressionante di cose che mi hanno fatto ridere, ho trovato tante cose che mi hanno emozionato. Marvel e i suoi film iniziano a fare i conti con l’irrimediabile. Contro la morte non c’è via di fuga: non esistono viaggi nel tempo, pietre dell’infinito o qualche remota località per ritrovare se stessi. Gli Avengers hanno posto rimedio a quasi tutto – Doctor Strange ha ritrovato l’uso delle mani, tutti coloro che scomparirono in seguito al blip sono tornati indietro alle loro vite disperate, separazioni e squadre di calcio che non vincono mai – addirittura hanno scoperto universi paralleli dove vivono la vita che vorrebbero (ovvero quella di Brad Pitt) – ma la morte è imbattibile. Sembra un detto della nonna, una di quelle frasi che, in alcune parti d’Italia, ancora oggi gli anziani al bar si tramandano, ma è vero. E la scelta di non trovare un “rimpiazzo” di Chadwick Boseman dimostra l’intenzione di bere l’amaro calice fino in fondo. E se il tributo a Chadwick Boseman prende in effetti il tempo del prologo, il resto di Black Panther: Wakanda Forever trascorre nella ricerca di un’accettazione, un modo di tirare avanti, adattarsi alla nuova situazione, scegliere dove il dolore può portarci. Rassegnazione? Rabbia o peggio vendetta? Gli abiti bruciati nel fuoco sono un modo, ma alla fine bisogna riuscire a venire a patti con il nuovo ruolo richiesto dalla tua famiglia e dallo Stato, ma soprattutto concedersi un momento per piangere, anche tempo dopo, perché quel dolore non passa, non è mitigato, non è contrattabile, c’è e resterà dentro di noi e va affrontato ogni giorno, respiro dopo respiro. Sì, è un argomento che mi prende molto e forse è parte del fascino di Black Panther: Wakanda Forever ha su di me, vedere i personaggi finalmente non usare i loro superpoteri per adempiere a una missione, ma in un certo senso arrendersi alle cose della vita.
Ryan Coogler è Ryan Coogler, è rozzo, non è Von Trier, ma confeziona un film a tratti anche delicato. È riuscito anche a mettere qualcos’altro, un’urgenza di attualità. Già nelle serie come The Falcon and The Winter Soldier era atterrata in malo modo nelle vite degli Avengers, in Black Panther: Wakanda Forever entra un elemento che definirei geopolitico interessante. Sì, è trattato coi piedi. La sequenza all’ONU è risibile e dubito che un capo di Stato si possa presentare a un incontro con a fianco le guardie del corpo incappucciate, però Coogler e Joe Robert Cole vogliono mettere USA e Francia dalla parte dei cattivi a caccia delle risorse di uno stato africano. Capite sì la portata? 2022, anche se nel MCU siamo più avanti, dopo Thanos, dopo gli alieni, siamo ancora al colonialismo, a temi ottocenteschi che controllano le nostre vite. E lo ribadisce alla fine del film Okoye quando (SPOILER) libera Everett Ross ed esclama «Un colonizzatore in catene. Ora si che ho visto tutto». Insomma, il tema è scoperto e racconta tanto di questi gironi che stiamo vivendo.
Per il resto ci sono tanti elementi che mi hanno divertito in Black Panther: Wakanda Forever, anche se non era nell’intenzione di regista, sceneggiatore, attori e attrici. Io, che ogni volta che sento il nome Shuri, penso a «Çiuri, çiuri, çiuri di tuttu l’annu/l’amuri ca mi daşti ti lu tornu». Non è bello mi scuso. Oppure la nuova Tony Stark, Riri. Devono averci pensato un po’, indecisi tra il bambino nel garage di Iron Man 3, ma poi avranno concordato “deve essere nero, meglio se femmina, ma non troppo, si incazzassero i non binari” e arriva con Riri con la fiamma ossidrica e un nuovo esoscheletro spacca culi. Ora ci faranno anche una serie tv. Poi mi ha colpito come nessuno dice più CIA ma Si-Ai-Ei, forse qualcuno Langley ha reclamato la proprietà intellettuale e staranno producendo una serie tv in cui sono loro i cattivi, perché fa bene la fiction ma non la fantascienza. Aggiungo che a Kilmonger je so cresciuti i capelli nel piano astrale. Resta il cattivo o sedicente tale. Sto Namor ha il cuore d’oro, ama il suo popolo, ma è incazzato nero, spara proverbi che pare i vecchietti di cui sopra, ma soprattutto a un certo punto spara una frase in latino, Imperius Rex. Lui è mezzo maya. Vabbè, è una citazione dal fumetto, ma non sarà che a volte facevano le cose tanto perché era figo? Posso? O no?
*** È stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere
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