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Nope, la recensione

nope locandina posterNope è il terzo film di Jordan Peele, con Daniel Kaluuya, Keke Palmer, Steven Yeun e Michael Wincott.

Ecco la recensione di Nope.


Otis “OJ” ed Emerald Haywood sono i proprietari di un ranch nella Santa Clarita Valley e scoprono qualcosa di misterioso, nascosto tra le nuvole sovrastanti la loro proprietà.  I due, fratello e sorella, se la passano male: la loro principale attività è fornire cavalli addestrati all’industria dell’intrattenimento hollyvoodiana, loro discendono dal misterioso fantino in sella al cavallo ripreso in The Horse at Motion di Eadweard Muybridge, da molti considerato il primo film della storia del cinema, prima di Edison e i Lumiere; da qualche tempo, gli Haywood sono costretti a vendere gli animali a Ricky ‘Jupe’ Park, il vicino di ranch, proprietario di un parco divertimenti ispirato a un vecchio telefilm, la cui produzione si interruppe in modo tragico: sul set una scimmia sclerò e massacrò quasi tutti gli attori.

Nope-duo

Ci sono due livelli di narrazione in Nope, che cercano di parlarsi: la storia della scimmia impazzita e quella della strana entità che si nasconde nel cielo sopra gli Haywood. Predatori? Maschi alfa che vogliono controllare il territorio? Peele lo fa intendere e qui il vostro affezionatissimo desidera evidenziare come Nope solleverà nella nostra testa tante domande che fluttueranno e non solo riguardanti il mero discorso sul “significato” di quanto abbiamo visto. Nope vi resterà addosso, ponendo questioni e livelli di discussione, perfino chi non amerà il film di Peele non potrà non riconoscere tale preziosa caratteristica. Quando è stata l’ultima volta che siete rimasti fuori al cinema a parlare di quello che avete visto? Io non recentemente.

Nope apre un’altra questione: sul suo autore e regista. È il terzo film di Jordan Peele, non è il suo migliore, io lo metterei al terzo posto, ma è una pellicola ancora una volta di un livello altissimo, forse un’opera che non siamo ancora in grado di computare appieno. Scappa-Get out è un thriller-horror abbastanza semplice nei suoi riferimenti e nella sua metafora,  talmente semplici che, confesso, quando lo vidi non mi piacque proprio per la sfacciataggine del suo messaggio;  Noi/Us è un’allegoria più sfumata ma non meno potente. Sembra parlare di razzismo, ma in verità è una cortina di fumo per celare appena il vero obiettivo: le classi sociali negli Stati Uniti (U.S. – United States), il sempre più crescente divario tra ricchi e poveri, tra la ricchezza che rende liberi di vivere una vita da instagrammare e la mancanza di mezzi che rende prigionieri o peggio schiavi.

In questa mia speciale classifica, Nope è un film notevole, potente dal punto di vista visivo, in ciò superiore agli altri film di Peele. Mai come in Nope il regista ha raccontato una storia che vive sullo sfondo mentre l’ambiente con i boschi, le colline, gli alberi o gli animali che lo abitano sono in primo piano, in cui lo spettatore aguzza lo sguardo per scoprire dietro le nuvole un segnale, un’ombra, un raggio di sole bizzarro che riveli qualcosa. Spesso in Nope si perde di vista ciò che abbiamo in primo piano e ci ritroviamo ad esplorare il panorama, come i protagonisti siamo perennemente con il naso all’insù.

Se consentite il cedimento allo spoiler, Nope racconta qualcosa di insospettato che, come il nemico degli Haywood, si cela dentro di noi. Una volta compreso che nel cielo sopra Santa Clarita Valley si nasconde un UFO o un’entità aliena non meglio identificata, i protagonisti non pensano a salvarsi la vita o a fermare una potenziale invasione extraterrestre, ma desiderano solo riuscire a girare un video che poi possano vendere alle televisioni. Un altro livello di racconto, un’altra critica sociale: gli Haywood lavorano in un settore in crisi, economica e di valori, ai piedi del mondo dell’apparenza, dell’esaltazione dello spettacolo, ma vi restano attaccati, perché è una storia di famiglia e forse perché è l’unica cosa che sanno fare e perciò continuano a sognare di potercela fare, di sfondare.

In ciò, c’è la cifra stilista di Peele, ancora una volta attento a non lasciare sicurezze allo spettatore, sul lavorare sul fuori campo spielberghiano, sulla suspence figlia di Hitchcock e sul delirio fantascientifico di serie come Ai confini della realtà, a cui il regista ha anche dichiarato di essersi ampiamente ispirato, e con panoramiche che ritraggono l’Ovest di John Ford come mai lo si era visto – e temuto – prima. Nope di Peele è uno Shyamalan che ce l’ha fatta, ma in lui il fine ultimo non è twist, per Peele è solo il mezzo per raggiungere il fine.

Peele utilizza tutti gli strumenti a sua disposizione per catturare l’attenzione dello spettatore, anche ricorrere a un sound design caciarone: Emerald ascolta spesso la musica a tutto volume, i personaggi urlano tra di loro, non solo perché arrabbiati o scossi, ma anche solo semplicemente per parlarsi a centinaia di metri di distanza l’uno dall’altro, in mezzo alle valli deserte, vuote e interrotte qua e là solo dai ranch, mentre echeggiano gli altoparlanti degli spettacoli di Ricky ‘Jupe’ Park.

Nel suo tentativo di aggiornare e far rivivere nel gusto del XXI secolo lo sci-fi anni Cinquanta, qualcosa perde per strada Peele: i personaggi sono blocchi rigidi, strumenti per far marciare la storia, non trepidiamo per la loro sorte e così, in qualche momento, un po’ di noia fa capolino, ma Nope è un film assolutamente da vedere, rivedere e parlarne fuori dal cinema, magari davanti a una birra.

bianca nanni moretti pagelle stellette cinema coccinema****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.

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