Don’t Look Up
Don’t Look Up continua la rivisitazione satirica che Adam McKay sta compiendo del nostro mondo e dell’impero americano. Dopo La grande scommessa – in cui prendeva di mira la crisi dei mutui subprime, e Vice, in cui rileggeva con meno sarcasmo e più amarezza la figura di Dick Chaney, in Don’t Look Up McKay analizza la crisi scatenata dalla pandemia negli ultimi due anni per ragionare intorno all’incapacità dell’uomo di comprendere il casino in cui si è ficcato. Il tutto senza mai citare il covid 19.
La dottoranda in astronomia Jennifer Lawrence scopre una cometa grande come il monte Everest che punta dritto verso la Terra. Con il professor Leonardo DiCaprio avvisa i vertici della Nasa e ottiene un incontro con la presidente degli Stati Uniti Meryl Streep, la quale, tra uno scandalo sessuale e le elezioni che arrivano decide di prendere tempo.
I due scienziati decidono allora di rivolgersi ai media, che li scaricano appena capiscono che la loro storia non riesce a diventare virale.
Quando la politica si rende conto che può sfruttare la vicenda per far dimenticare i problemi del Paese ecco che Leonardo DiCaprio diventa il volto rassicurante di una missione che punta a sfruttare le risorse minerarie della cometa per l’arricchimento dell’ennesimo imprenditore-messia interpretato da Jack Rylance, che riecheggia un personaggio simile in Ready Player One.
McKay dirige un piccolo Dottor Stranamore del nostro tempo, senza ovviamente la carica visionaria dell’immaginazione kubrickiana, che rivaleggia con i migliori titoli del 2021 per la capacità di giocare con i differenti generi per puntarli alla testa del sistema dell’intrattenimento, dei media e la scarpa capacità di concentrazione del pubblico o dei votanti o dei cittadini insomma degli esseri umani che abitano questo pianeta.
Così vediamo messe in scena le dinamiche dei social network, la spettacolarizzazione del dramma dei media tradizionali, le esibizioni dei politici per il popolo beone, le kermesse della beneficienza delle stelle della musica per il popolo radical chic.
McKay e DiCaprio non salvano nessuno: Washington, la presidenza, i media tradizionali, i social network e gli imprenditori – filosofi della nostra era. Non è difficile capire perché DiCaprio si è lanciato nel progetto: le peripezie del suo professore sembrano rimandare all’immenso sforzo in cui l’attore si sta spendendo nel cercare di far capire il rischio del cambiamento climatico. E in fondo, siamo sicuri che l’obiettivo fosse parlare solo della pandemia?
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Ci sono tre tipi di americani: ci siete voi la classe operaia, ci siamo noi i ricchi di successo e ci sono loro. Abbiamo bisogno anche di loro, ci servono, perché voi ci avete creati per poterli combattere, la classe operaia, gli inferiori, mi seguite? Sto parlando dei nutrizionisti, dei personal trainer, degli impiegati nelle SPA, non quelli alla reception nemmeno le massaggiatrici ma quelli che ti accompagnano nel corridoio, quelle persone
Nel raccontarlo disvela come l’establishment usa i media per creare un rumore di sottofondo che distolga dai veri problemi e gli autentici nemici del popolo. Ma sia chiara una cosa: in Don’t look up non si salva nessuno. Non ci sono angeli, forse c’è qualche demone: gli scienziati si lasciano sedurre dai media, i politici non sanno cosa fare se non lottare per la loro sopravvivenza personale, gli imprenditori vogliono solo prendere e arraffare, la massa è stupida e si fa distrarre, i media sono ciechi, impreparati, vacui, ignoranti. Non c’è salvezza, ci estingueremo e basta.
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