Wonder Woman 1984
E così il sequel di Wonder Woman, Wonder Woman 1984, arriva in digitale e sul satellitare Primafila di Sky Cinema, replicando il duo delle meraviglie Patty Jenkins alla regia e Gal Gadot nel costume, che le sta largo, dell’eroina DC.
Iniziando una recensione di Wonder Woman 1984 non posso non annotare immediatamente come il film sia ambientato negli anni Ottanta, nel 1984 per l’appunto, in pieno edonismo reaganiano. Diana Prince/Gal Gadot/Wonder Woman vive nascosta, lavorando come archeologa allo Smithsonian Museum di Washington, nel ricordo del suo amore perduto durante la Prima guerra mondiale, Steve, con celato in casa l’altare votivo a lui dedicato e mensola con conservato l’orologio del suo perduto amore, che guarda regolamente con sguardo depresso, sospirando scampoli di assenza. Sul lavoro conosce l’impacciata scienziata Barbara Minerva (Kristen Wiig), di cui Diana/Wonder Woman sembra farsi carico come di un cucciolo ferito o un caso umano particolarmente triste, mentre avrebbe solo bisogno di guardare meglio quello che indossa e togliere i punti neri. Le due si imbattono in un antico manufatto, che ha il potere di esaudire i desideri. Nel frattempo le due donne, più per gioco che per convinzione, esprimono loro stesse un desiderio: Diana vuole ritrovare l’amore perduto, Barbara diventare come l’amica appena conosciuta, Diana per l’appunto. Purtroppo l’oggetto magico entra nel mirino dell’uomo d’affari Max Lord (Pedro Pascal), che pensa di impossessarsene per realizzare la sua bramosia di potere.

Per tutte le volte che sono stati trasposti sul grande e sul piccolo schermo, gli anni Ottanta avrebbero abbondantemente rotto i coglioni anche a chi ci è cresciuto e li ricorda(va) con affetto. Ci sarebbe tanto da lavorare e da giocare nel raccontare quell’era e le conseguenze che ha avuto sul nostro tempo. Le crisi finanziarie degli ultimi anni hanno radici proprio nella deregulation dei mercati firmata Reagan e Thatcher. Furono gli anni dell’avidità, della fame di possesso, dell’egoismo, dell’edonismo, dell’apparenza, tutti concetti che Wonder Woman 1984 spiattella in faccia allo spettatore senza alcuna profondità o effettiva riflessione, con ciccioni che addentano hamburger straripanti di condimenti in un centro commerciale, il gioco dell’abbigliamento dei personaggi che sembrano usciti da Videomusic, gli spot televisivi di Lord, urlando “Perché non avere di più?” per vendere i suoi debiti a chi sogna di arricchirsi facilmente. Ma sono raffigurazioni stanche, che non dicono niente a noi uomini e donne del XXI secolo, perché a chi scrive e gira sembra non interessare niente oltre il parallelo Lord-Trump. Se il film fosse uscito nei tempi, forse avrebbe funzionato, ma oggi è infiacchito dai ritardi nella distribuzione per colpa del covid.
E se il tema “attento a ciò che desideri perché ti toglierà qualcosa” è trattato senza sfumature, ciò che è veramente imperdonabile sono le scene di azione senza mordente, con effetti speciali patetici, in cui mai per un secondo temiamo per la nostra eroina, che addirittura inizia a usare il lazo della verità come le ragnatele di un certo ragnetto atomico.
E gli attori e le attrici? Gal Gadot sembra stranamente spenta, non pensavo che vederla fare a botte con Kristen Wiig non mi avrebbe regalato nemmeno mezza erezione; Pedro Pascal è stato “rovinato”, brutto e gonfio che era meno con la maschera del Mandaloriano, con un personaggio pensato anche bene, ma scritto male, con battute a volte banali, altre incomprensibili e alle prese col BAMBINO che è la vera scorrettezza del film: non toccate i bambini, lasciate stare i bambini. E malgrado la storia sia dipinta in bianco e nero, si fa fatica a seguire perché, qua e là, si sono dimenticati di spiegarci tutti, come se di corsa avessero dovuto cucire insieme tre storie differenti e sul pavimento della sala mo maggio fosse rimasto qualche pezzo importante. Del resto, forse avrebbero potuto farlo durare di più delle già interminabili 2 ore e 35 minuti.
PS: guardate i titoli di coda, che appare la vera DEA.
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