Terminator – Destino Oscuro
Mi innervosisco subito durante la visione di Terminator – Destino Oscuro: entra in scena Mackenzie Davis, nel classico viaggio nel tempo, ormai caratteristico della saga, è completamente nuda, cade da un ponte, poi deve massacrare una squadra di poliziotti. Mackenzie Davis, che scopriremo poi si chiama Grace ed è un’umana potenziata con tecnologia cibernetica, li mena tutti, li massacra, ma mai, nemmeno per un secondo, si vede una tetta. Potrò restarci male? Non esiste che per sbaglio il regista Tim Miller non mi faccia vedere una tetta, non me ne frega niente se, per far vedere una tetta di Mackenzie Davis, bisognava darle un fracco di soldi in più. Se sei una produzione seria, paghi per far vedere la tetta di Mackenzie Davis e non perché io o la media del pubblico maschile (ma penso anche a una parte di quello femminile) è malato, ma perché è illogico che in una furiosa scazzotattata non si veda mai una tetta.
Chiarito dopo cinque minuti che Terminator – Destino Oscuro sarà un disastro, ecco e altre cose che non vanno.
Va bene, dovete rifare il film originario della serie facendo finta che gli altri disastri che si sono succeduti dopo il 2 non siano mai esistiti – anche se a me Terminator Salvation è piaciuto, sarà colpa di Christian Bale -. Ok lo dovete attualizzare, buttarci dentro il #metoo, la sorellanza e tirare una schicchera a Trump, però, è possibile per pietà avere dei dialoghi almeno dignitosi? È possibile evitare che il Terminator che ha terrorizzato più di una generazione diventi “Carl il Tappezziere”?

Terminator – Destino Oscuro è la prova di quanto male abbiano fatto Cuaron e Inarritu al cinema, lo ambientano in gran parte a Città del Messico e diventa un film in lingua spagnola in cui per 40 minuti buoni bisogna leggere i sottotitoli, una tipa si presenta dallo zio, che di mestiere fa attraversare il confine con gli USA agli immigrati clandestini, e gli racconta che una macchina venuta dal futuro dà la caccia a lei e ai suoi amici americani. Quello si beve tutto. Una volta ‘sta gente la chiudevano in manicomio.
In parte è un peccato, perché Miller azzecca pure un paio di robuste e violentissime sequenze di azione, malgrado il suo cattivo non sia che una copia 2.0 del T1000 di Terminator – Il Giorno del Giudizio. Ciò che proprio non va è quando i personaggi si siedono e si fermano a parlare: ancora storie di un futuro in cui le macchine danno la caccia agli uomini (stavolta il cervollone super cattivo non si chiama Skynet ma Legion), perdendo ritmo e mordente, proprio ciò in cui James Cameron era bravissimo: ridurre all’essenziale le chiacchiere e pensare solo a menare duro e forte. Tutto ciò riuscendo a non approfondire nessuno dei personaggi o i temi che la sceneggiatura sembrerebbe approcciare: la sorellanza (Grace e Sarah Connor fanno squadra, ma ciascuna per i suoi motivi, anzi tra qualche contrasto); la presa di coscienza della (futura) leader della resistenza è banale e già vista; l’emigrazione clandestina e la diversità (il muro tra Messico e Stati Uniti serve solo per porre un ostacolo ai nostri, non c’è nessun tipo di approfondimento, tanto valeva infilarli nel traffico di Roma).
La cosa che dispiace di più è la totale mancanza di carisma di Natalia Reyes e, purtroppo, di Mackenzie Davis, da cui mi aspettavo di più come capacità di riempire lo schermo. Tutto è sulle spalle di Linda Hamilton, che torna a essere la santa Sarah Connor, e Schwarzy, ridotto, però, al ruolo di patetico pensionato costretto a far ridere.
Io francamente mi sono rotto le scatole di essere deluso dai vari Terminator. Pensare che basterebbe così poco: mettere John Connor, possibilmente interpretato da Christian Bale, a fare la guerra dura ai robot. Poi chiamateli come cazzo vi pare.
** Ragazzi, state commettendo un grosso sbaglio
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Assolutamente d’accordo!
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