King Arthur: Il potere della spada, l’amichevole boro di quartiere
Dame e puttane, cavalieri, SS e maestri di kung fu, re e papponi, tiranni e boss della mala, maghe e arcieri prodigiosi, corse a perdifiato per le strade di Londinium/Londra tra “spacciatori” di pelli d’orso, fiere gigantesche che sembrano uscite fuori direttamente da Skull Island e non dall’Inghilterra del Sud, adrenalina e boraggine. Guy Ritchie rimaneggia la leggenda di Re Artù e la trasforma nella sua materia preferita: storie da “bravi ragazzi”, dialoghi tarantiniani, bori prestati alla cavalleria. Ecco King Arthur: Il potere delle spada.
I Cavalieri della Tavola Rotonda diventano Stecchino, MangiaGalli, Grasso d’oca e Kung Fu George, i loro nemici lo Sfregiato interpretato da David Beckham (pezzo pop appositamente infilato nella scena suprema dell’estrazione della spada e volutamente deturpato per strappare una risata e allentare tensione e attesa) mentre un capo delle temute maschere nere che ha fretta di tornare a casa a preparare la cena come ordinato da sua moglie. Semola… ops Artù che diventa uomo è un racconto affidato a un frullato ipercinetico di flash in cui il giovane cade, si fa male, si rialza, urla, cade di nuovo, sanguina, lotta, accumula denaro e potere.
La gente ha visto quello che puoi fare. Non sei più un mito
La storia è nota e sviscerata al cinema, ma Ritchie sceglie di trasformare Thomas Malory e La morte di Artù in una roba tutta sua. Sì, c’è un usurpatore, il fratello di re Uther Pendragon (Eric Bana) con il volto lucido di Jude Law, che uccide il sovrano ma quest’ultimo riesce ad affidare al Tamigi il figlio e legittimo erede; da questo momento inizia la sua educazione, al ritmo della strada. Rievocando Mean Streets, Quei Bravi Ragazzi o l’italico Romanzo Criminale ma sempre alla maniera dei verbosi criminali piccoli e grandi di Ritchie, il giovane Artù diventa il boss del quartiere, un magnaccia cresciuto dalle puttane, un Padrino che elargisce una giustizia giusta, forgia il suo fisico, impara a combattere finché un giorno pesta i piedi sbagliati e una serie di (s)fortunati eventi lo conducono al cospetto della spada dalla roccia. Qui Semola… ops il nostro cazzutissimo eroe impersonato da Charlie Hunnam inizia il percorso che lo condurrà a scegliere di raccogliere l’eredità lasciata dal suo retaggio.
Che succede adesso?
Lo sai che succede… diventi rapidamente leggenda.
La serie interminabile di passaggi obbligati che abbiamo visto decine di volte al cinema è condita nella salsa fantasy che in passato ha forgiato capolavori come Il Signore degli Anelli o Il Trono di Spade dal cui cast Ritchie pesca Aidan Gilllen e Michael McElhatton ed è dissacrata con l’abbattimento della quarta parete (quando Artù chiama la battuta per vantarsi di come ha bulleggiato i vichinghi), lo smascheramento del gioco della leggenda ed è plasmata da Ritchie nella sua materia elementare, ma altamente spettacolare regalando una prospettiva nuova sulla Storia. Lavora il Tempo e lo trasforma in un effetto speciale che dilata il respiro di ogni scena lavorando sulla tensione, l’attesa, la ieraticità dell’attimo in un contesto di fango e sangue. King Arthur: Il potere della spada raramente è lineare, è un continuo scorrere avanti veloce o dietro. In una tecnica vista in Ant-Man o su larga scala in Memento i fatti sono narrati partendo dalla fine e procedono a ritroso, continuando ad alternare eventi, visioni, ricordi o mere allucinazioni e perdendosi dietro a fatti irrilevanti. Ogni sequenza ha un tempo interno che non segue il procedere della storia, quel dettaglio su cui si sofferma Ritchie che racconta un’atmosfera, un rumore, un odore, una ferita calandoti dentro la vicenda, dilatando le scene: l’acqua in un bicchiere che vibra o i sassi che saltano o il respiro affannoso dei personaggi che scandiscono la scena e la chiudono in una capsula, una sorta di clip emozionale in cui ogni dettaglio è rivelatore, ma l’insieme esprime la potenza dello spettacolo. In ciò è fondamentale la colonna sonora di Daniel Pemberton, uno che negli ultimi anni lo hanno voluto Ridley Scott, Danny Boyle, e lo stesso Ritchie in Operazione U.N.C.L.E e purtroppo anche Gaghan in Gold. La colonna sonora è sufficientemente iperprodotta e bora, e la musica è usata al pari di un effetto, distorta, manipolata, tagliente e suonata anche usando strumenti storici che contribuisce all’alienazione delle percezioni e rendendo tutto incredibilmente aulico e potente.
Tutti a volte distolgono lo sguardo, anche io lo faccio, ma è questa la differenza tra un uomo e il re.
Nella mani di Ritchie duelli e battaglie sono la Forma che si sostanzia nel Contenuto, diventano un’espressione metafisica, un’allegoria del Blockbuster in cui l’azione è simbolizzata e il concatenamento di Bene e Male assume un significato, un senso preciso, in cui per quanto siano oscuri i tempi in cui viviamo, la Storia e il Progresso possono vincere, bisogna solo raccogliere la spada.
-Volevi sapere cosa mi ha dato tanta determinazione. Sei stato tu. Tu mi hai messo in quel bordello. Mi hai forgiato nelle strade. Se sono qui ora e grazie a te. Sei tu che hai creato me. E per questo ti benedico.
-Tu dai un senso al demonio.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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