“We don’t submit to terror. We make the terror”. Chiudono così Frank e Claire (
Robin Wright), con la donna che, per la prima volta in 52 episodi, guarda verso il pubblico come Frank, rompendo la quarta parete. Un botto finale di violenza che cerca di recuperare sul triplice fischio dell’arbitro una stagione dai toni grigi e sostanzialmente inesistenti, in cui la
writers room si è limitata a riproporre schemi già visti. L’unico brivido è stata la lotta per la nomination a vicepresidente di Claire, aperta da un’irreale lotta tra marito e moglie che si è risolta più velocemente di una Sandra Mondaini qualsiasi che scalcia sotto le lenzuola mentre Raimondo Vianello legge la Gazzetta dello sport.
We make the terror è un manifesto appiccicato su una stagione con colpi di scena spicci, in cui scavare veramente tra le pieghe dei personaggi sembra essere davvero il totem intoccabile. Ecco che i momenti da ricordare sono il letto di morte di Mamma Claire, grazie all’interpretazione adamantina di
Ellen Burstyn, il confronto tra la famiglia Conway e gli Underwood, un duello che, aldilà dei fronti contrapposti e la guerra verbale e di nervi, ha evidenziato dei punti di contatto come l’ambizione e la spregiudicatezza; infine il
“Lei è un figlio di puttana signor Presidente” urlato da Freddie all’uomo più potente del mondo, impressionante, se visto dalla prospettiva di un Paese in cui se provi a rivolgerti in questo modo a un usciere qualsiasi dell’Inps ti ritrovi i picchetti sotto casa, l’Agenzia delle Entrate in ufficio e la Camorra preleva i tuoi figli a scuola. Poi c’è
Molly Parker che da sola giustificherebbe 13 ore l’anno con House of Cards se solo la facessero vedere di più. Molly, io solo posso renderti felice, Remy avrà la tartaruga, ma io sono una tartaruga!
Che accadrà ora?
Ma davvero ve ne frega qualcosa? Io voglio solo sapere quali giochini scaricheranno sul telefonino Frank Underwood e Will Conway!
La citazione
La corruzione è una questione di prospettiva.