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House of Cards 4: chaos recap 

 

house of cards 4
Che cos’è?
La serie in cui un Presidente degli Stati Uniti dimostra di non aver capito il mondo che comanda parlando ancora di tiratura di un giornale e non di clic dei sito del giornale. Oramai tira più un clic che… vabbè ci siamo capiti.

Cosa è successo?
Frank Underwood (Kevin Spacey) deve risolvere la crisi degli ostaggi e nel mentre schivare i colpi che arrivano dal Washington Herald. Non esita a liberare dalla prigionia di Guantanamo il terrorista Yusuf per convincerlo a parlare ai rapitori per far rilasciare la famigliola. Che idea: cercare di trattare con un fondamentalista e fargli salvare delle vite. Che rivelazione! Obama, perché non pensarci prima! L’uomo non è un siriano, è un iracheno e Yusuf non è nemmeno il suo vero nome! Beh per gli standard a cui siamo abituati in House of cards direi che questo terrorista è il più pulito in un mondo affetto dalla rogna.

Ovviamente l’uomo fa il doppio gioco: messo in comunicazione con i rapitori parla loro in arabo e ordina di diffondere il video. E, incredibile, in una scenetta degna di una repubblica delle banane come la nostra, nessuno nella Situation room parla arabo ed è in grado di capire cosa Yusuf dica ai rapitori. Con il fallimento dell’operazione, gli Underwood decidono di usare le tette… ops scusate il desiderio è padre del pensiero… Il Trono di Spade…. Ops ancora no… La so, la so… Un aiutino? Ecco! Ci sono! La sete di vendetta per scatenare una guerra totale al terrorismo e far dimenticare lo scandalo che divamperà dalle accuse giornalistiche contro di lui.

Come è stato
“We don’t submit to terror. We make the terror”. Chiudono così Frank e Claire (Robin Wright), con la donna che, per la prima volta in 52 episodi, guarda verso il pubblico come Frank, rompendo la quarta parete. Un botto finale di violenza che cerca di recuperare sul triplice fischio dell’arbitro una stagione dai toni grigi e sostanzialmente inesistenti, in cui la writers room si è limitata a riproporre schemi già visti. L’unico brivido è stata la lotta per la nomination a vicepresidente di Claire, aperta da un’irreale lotta tra marito e moglie che si è risolta più velocemente di una Sandra Mondaini qualsiasi che scalcia sotto le lenzuola mentre Raimondo Vianello legge la Gazzetta dello sport.

We make the terror è un manifesto appiccicato su una stagione con colpi di scena spicci, in cui scavare veramente tra le pieghe dei personaggi sembra essere davvero il totem intoccabile. Ecco che i momenti da ricordare sono il letto di morte di Mamma Claire, grazie all’interpretazione adamantina di Ellen Burstyn, il confronto tra la famiglia Conway e gli Underwood, un duello che, aldilà dei fronti contrapposti e la guerra verbale e di nervi, ha evidenziato dei punti di contatto come l’ambizione e la spregiudicatezza; infine il “Lei è un figlio di puttana signor Presidente” urlato da Freddie all’uomo più potente del mondo, impressionante, se visto dalla prospettiva di un Paese in cui se provi a rivolgerti in questo modo a un usciere qualsiasi dell’Inps ti ritrovi i picchetti sotto casa, l’Agenzia delle Entrate in ufficio e la Camorra preleva i tuoi figli a scuola. Poi c’è Molly Parker che da sola giustificherebbe 13 ore l’anno con House of Cards se solo la facessero vedere di più. Molly, io solo posso renderti felice, Remy avrà la tartaruga, ma io sono una tartaruga!

Che accadrà ora?
Ma davvero ve ne frega qualcosa? Io voglio solo sapere quali giochini scaricheranno sul telefonino Frank Underwood e Will Conway!

La citazione
La corruzione è una questione di prospettiva.

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