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Visioni (di molto) successive/Vizio di forma 

vizio di formaVizio di forma è un film di una ricchezza incredibile, non solo visiva (come insegna la storia artistica di Paul Thomas Anderson, il più kubrickiano dei registi in circolazione – non che Stanley abbia contribuito a creare una scuola, ma l’amore per l’intima perfezione dell’inquadratura fanno di Anderson il suo erede piu vicino).

Ricchezza, scrivevo. Non solo visiva, ma di temi, personaggi e colori. Tratto dal romanzo di Thomas Pynchon, Vizio di forma contiene un universo intero: i sogni spezzati del ’68 confusi in una nuvola di fumo, il sesso a pagamento e la guerra in Vietnam, gli hippie persi nel mondo dei grandi, gli intrighi della polizia, il controllo del Grande Fratello, dell’Fbi e della malavita. Ci sono le grandi trame – con la magia del Golden Fang che da un lato vende la droga su larga scala ma poi gestisce lo studio dentistico per curare i denti fatti marcire dall’eroina, ma anche i centri di recupero per ricchi in crisi esistenziale; c’è il prepotente sviluppo immobiliare della California degli anni Settanta, la polizia corrotta e che si fa giustizia da sé o la grande paura delle sette alla Charlie Manson.

In tutto questo, in un continuo gioco di scatole cinesi, si muove Larry “Doc” Sportello, investigatore privato perennemente strafatto che è contattato dalla ex che non ha mai dimenticato per sventare il rapimento di un potente costruttore con cui la ragazza si vede. Anderson insieme a Joaquin Phoenix disegna un personaggio riluttante alla violenza che lo circonda, ma disponibilissimo ad abbracciarla per salvare se stesso o i pochi capisaldi del suo mondo, con i suoi capelli, cappelli, le basette che occupano quasi tutta la faccia, l’antipatia verso qualsiasi tipo di scarpe che non sia un’infradito o addirittura lavarsi i piedi. Questa cura dei dettagli è riservata a tutti i personaggi: la prostituta thailandese, il dentista tossico ed erotomane interpretato da un funambolico Martin Short, il sassofonista di Owen Wilson che in realtà è un infiltrato della polizia; il detective violento di Josh Brolin a cui la cravatta e il colletto della camicia troppo stretto sembrano bloccare la circolazione del sangue verso il cervello, le donne di Doc: l’onirica Shasta che lo coinvolge nell’avventura e la sua amica Lege, che a tratti sembra più frutto dell’immaginazione di Doc piuttosto che esistere realmente e a cui Anderson affida il compito di voce narrante. La California dell’era dell’Acquario e del sogno americano è corrotta e la gioventù bruciata tra marijuana o peggio sembra l’anello debole di un Paese che sta finendo nello sciacquone tra Nixon e la guerra del Vietnam, il vecchio mondo non sa come fermare il cambiamento, cosi si cementa l’alleanza tra i nazisti ariani e e l’emergente black power, mentre i ricchi si arricchiscono e agli hippie non resta che affidarsi all’ultimo dei rifugi: la famiglia in cui “non è giusto che una bambina cresca senza il padre”). Un po’ quello che accade ancora oggi.

Da segnalare il cast, ricco come l’immaginazione e i colori dei personaggi: oltre al citato Phoenix (perfettamente in parte dentro Doc Sportello consumatore abituale di droghe, smemorato e assonnato, tanto da far capire che si sia di più della semplice costruzione di un personaggio), Josh Brolin nei panni di Big Foot, il poliziotto; Owen Wilson è il musicista che vive da infiltrato; Reese Witherspoon è il procuratore mentre Benicio Del Toro è un avvocato che sembra solo apparentemente un pesce fuor d’acqua.

Con Vizio di forma, Anderson torna (non troppo per il peso che ha Doc sulla struttura del film) a un’opera corale, come Magnolia, ma senza la potenza drammatica di quello che tuttora considero il suo capolavoro. È come se, in questi ultimi anni, Anderson si sia perso nella freddezza espressiva dell’immagine, in cui la saturazione dei colori e i costumi espressivi non compensano la perdita e il carattere di un cuore distrutto.

forrst gump**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare

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