Everything Everywhere All At Once
Everything Everywhere All At Once è un film di di Daniel Kwan and Daniel Scheinert con Michelle Yeoh, Ke Huy Quan, Stephanie Hsu, Jamie Lee Curtis e James Hong.
Immaginate un film della Marvel, un “Doctor Strange nel Multiverso della follia” per esempio, in cui tutta la magia e il mistero e il fascino del multiverso sia lo strumento per condividere un qualcosa di profondo sulla vita, l’amore e… le vacche. Lo ricordate “Scappo dalla Città – La vita, l’amore, le vacche? Ok sto divagando. Immaginate Doctor Strange alle prese con problemi reali e non con un gelato alla Hulk o Wong che non conosce la differenza tra dollaro e la pizza de fango del Nepal. Immaginate tutto questo e avrete Everything Everywhere All At Once, il film di Daniel Kwan and Daniel Scheinert (due che si fanno chiamare i “Daniels”). Ispirato all’artista giapponese Ikeda Manabu, come le sue opere, Everything Everywhere All At Once è denso, strutturato, intricato e folle e assurdo, 140 minuti in cui, a tratti, è difficile mantenere il contatto, chiedendosi se non sia solo un esercizio di stile e di fantasia. A un certo punto della storia, capisci che tutto e tutti i posti in cui siamo stati hanno un significato, nascosto proprio in quel luogo dove il senso ultimo dell’universo si nasconde, be’ quello è un momento grandioso di comunione con il film, con chi lo ha scritto, girato e interpretato.
Evelyn è una cinese-americana e gestisce una lavanderia a gettoni. Suo padre Gong Gong (James Hong, sì proprio lui, quello di Grosso Guaio a Chinatown) è venuto a trovarla dalla Cina, non parla una parola di inglese ed è il classico anziano legato a una concezione della società non in sintonia con i tempi, insomma, non è pronto a sapere che la nipote Joy (Stephanie Hsu) è gay e ha una compagna, Becky, ospite della festa per il capodanno cinese in programma la sera stessa nella lavanderia. Ma non è l’unica questione che deve affrontare Evelyn mentre cerca di respingere gli assalti del marito Waymond (Ke Huy Quan, sì, proprio lui, direttamente da Indiana Jones e il tempio maledetto in cui interpretava Shortie), l’uomo deve urgentemente parlarle di qualcosa: la sua azienda è sottoposta a un controllo da parte della IRS, la temuta agenzia delle entrate statunitense, che ha la faccia e il corpo e tutta la fisicità di Jamie Lee Curtis nei panni di Deirdre Beaubeirdra.
All’appuntamento decisivo per la revisione di conti e delle ricevute dell’azienda, in ascensore Waymond si trasforma in una sorta di Neo di Matrix, rivela alla moglie che lui in verità non è il suo vero marito, proviene da un altro universo e lei è l’unica Evelyn del multiverso che può fermare Jobu Tupaki, una creatura che può essere in tutti i multiversi contemporaneamente e che sta cercando di distruggere la realtà perché si annoia, insomma è un fottuto nichilista – sì, tipo quelli de Il Grande Lebowsky.
Evelyn dovrà prendere confidenza con le regole del multiverso ed entrare in contatto con tutte le infinite variabili di se stessa per trovare le capacità necessarie a vincere questa lotta per la sopravvivenza globale. Suona familiare eh? Qualcuno ha detto Matrix?
Sorprende come Everything Everywhere all at once sia un film che affronta tantissimi temi e siccome è un film e non una serie tv con a disposizione 12 ore a stagione, i Daniels tratteggiano curve dell’esistenza con leggiadria e velocità, a dispetto delle 2 ore e venti minuti di durata. Dentro c’è davvero tutto, ovunque e tutto insieme: ci sono gli immigrati cinese-americani, conflitti generazionali, il dover fronteggiare la necessità dell’approvazione genitoriale e di convivere con la sua mancanza, c’è la ricerca dell’identità sessuale e sicuro qualcosa mi scordo. E siccome non voglio spoilerare non vado oltre, ma il cuore vedo di Everything Everywhere all at once è ancora più nascosto, più segreto e vi metterà in subbuglio gli angoli dell’animo.
Indubbiamente il confronto con l’universo – anzi il multiverso – creato dai Daniels all’inizio è difficoltoso: i primi 40 minuti sono una sequenza di spiegoni sulle regole del multiverso e sul come saltare da un universo all’altro, prendendo confidenza anche con i modi in cui queste regole possono essere violate. Nel frattempo Everything Everywhere all at once accumula cose finché ti rendi che tutto serviva a uno scopo e tutto è mescolato con mille altre cose, da Terry Gilliam a Wong Kar Vai, da Tarantino a 2011-Odissea nello spazio, da Matrix a Fight Club, passando incredibilmente per Ratatouille, citando continuamente e poi quando alla fine il film finisce ti senti come se l’orchestra filarmonica dei Berliner avesse suonato per 140 minuti A Day in the Life, stupendoti, facendoti sorridere, piangere e divertire.
Sì, c’è qualche lunghezza; sì forse qualche trucco visivo è stato un po’ abusato – ok mi era piaciuto già la prima volta non c’era bisogno di riproporlo quasi uguale – e sì, ti stai chiedendo quanto i Daniels si stiano guardando l’ombelico e quanto siano felici di farlo, ma poi comprendi che tutto questo ti porta in un posto dentro di te, dove tutto accade allo stesso momento, ma non per questo è un’esperienza meno importante, meno preziosa. Ed è proprio qui che il film coinvolge, perché in un mondo (un universo?) in cui tutto ormai è possibile e in cui l’indifferenza il rischio più grande, quello che i Daniels ci vogliono dire: il trucco non è guardare il quadro generale, anelando una felicità da ingoiare, ma di concentrarci su quei piccoli, unici, incredibili momenti che ti aprono il cuore perché contengono tutta la bellezza del mondo e sono un Big Bang.
Everything Everywhere all at once era un film di arti marziali pensato per Jackie Chan e forse ciò lo avrebbe reso il solito film di arti marziali con protagonista un maschio. La scelta di Michelle Yeoh ha spostato tutto il nucleo del film, oltre a regalare un’interpretazione in cui c’è tutto, la Yeoh fa un lavoro incredibile senza contare che le sequenze di lotta sono coreografie molto bene e divertenti e sì ci sono momenti di pazzeggio ma li prendi per quello che sono, attimi dentro il tutto.
Poi alla fine del film leggi produced by Russo Brothers e realizzi che è la roba migliore che hanno fatto da The Winter Soldier.
Spero di essere riuscito a mettere dentro tutto, tutto insieme, contemporaneamente. Andatelo a vedere ovunque, basta che sia al cinema.
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