Stranger Things 4: recensione del finale di stagione
Recensione della quarta stagione di Stranger Things, serie tv disponibile su Netflix e ideata dai Duffer Brothers.
Una cosa si può senz’altro riconoscere agli autori di Stranger Things, la serie tv che rappresenta la punta di diamante di Netflix e quindi pensate come po’ esse er resto: hanno costruito dei bellissimi personaggi, funzionano da soli, ma funzionano soprattutto insieme. Ci si può immedesimare in Mike, Dustin, Max, Will, Undi, Max, Lucas, Nancy e tutti gli altri: adolescenti e pre-adolescenti possono parteggiare e ritrovarsi nelle loro ansie, paure, sogni incubi. Chi è più grande può ritrovare un pezzo di se stesso in ognuno di loro, vedere le potenzialità nascoste e ritrovare in quei ragazzi e ragazze il coraggio che poi è servito nel prosieguo della nostra vita. È la dinamica che tiene vivo il cuore della serie.
Ascoltate il podcast de Il Brutto Il Cattivo su Stranger Things 4
https://open.spotify.com/episode/4qaIzvijihlsFGbd6zJaBC?si=rNJamUpCTeqI0mAz9p9fRA
Il valore positivo di Stranger Things è nella forza dei suoi personaggi, la loro energia, la loro sincerità e il rapporto con una generazione e forse anche più di una: i nati negli anni Settanta, che gli Ottanta li hanno vissuti; i nati negli Ottanta e che li hanno assimilati dai racconti dei fratelli, delle sorelle maggiori o semplicemente degli amici di qualche anno più grandi, come gli showrunner Duffer Brothers, nati nel 1984 e gli appartenenti agli Novanta e inizio 2000, che gli Ottanta li hanno solo letti o visti raccontati nei film e nei romanzi; così i Duffer Brothers hanno così smaccatamente preso qua e là, con coerenza, non c’è che dire, mischiato, shakerato e agitato (tiè Mr. Bond) , tagliato, incollato e furbescamente impacchettano con la musica giusta.
Ma ciò lo sappiamo dalla prima stagione.
Sì, ok mi sto ancora lamentando di Stranger Things e forse la colpa non è nemmeno dei Duffer Brothers, ma dell’isteria collettiva che prende la massa quando esce una stagione o anche un pezzettino di stagione sui ragazzini di Hawkins… Sia chiaro a me la serie piace, ma francamente siamo lontani da quelle opere che hanno segnato la storia della televisione, in ere in cui non era in gioco la corona di re dei social. Insomma, regà, anche meno.
La quarta stagione di Stranger Things, a mio avviso, è partita bene, con una narrazione più matura, penetrando ancora di più nel lato oscuro delle esistenze di questi ragazzini e ragazzine che, oltre ad avere tutti i cazzi fastidiosi della loro età, se la sono dovuti vedere con mostri degni di Stephen King. E iniziamo proprio con le difficoltà di Undi a inserirsi nella nuova scuola, in cui è quella “strana”. I sofferti silenzi di Will; le difficoltà amorose di Nancy e Jonathan; il rapporto insolito tra Steve e Robin. Ciò ha comportato anche scelte visive più vicine all’horror, quasi splatter; del resto i ragazzini sono cresciuti e si spera lo siano anche i fan della serie, e non solo de panza e de calvizie.
Volume I è stato una buona esperienza di intrattenimento. La scelta di episodi più lunghi si è manifestata in maniera imperiosa con il Volume 2 della quarta stagione, dalla durata complessiva di 3 ore 55 minuti. Di ciò, vorrei scrivere dopo. Da qui in poi, occhio agli spoiler.
Il primo, l’episodio s4e8, è una lunga preparazione del confronto finale con il supercattivo: Vecna è il responsabile di tutto quanto avvenuto ad Hawkins negli ultimi anni, ma la sua “origin story” e il passaggio al lato oscuro pesa sulle spalle della nostra supereroina, Undi. Il male risiede in noi stessi e rischiamo di perpetrarlo anche non volendo. Lo avevo scritto che il discorso diventava più complesso.
La s4e8 passa piazzando le pedine sulla scacchiera, poi arriva lo scontro finale nell’episodio successivo che si gioca su un triplice campo di gioco, di cui uno in collegamento con la teleselezione: di fronte all’impossibilità di raggiungere Hawkins per unirsi agli amici, Undi è immersa in una vasca gelida piena di sale con lo scopo di eliminare ogni stimolo esterno e lasciare che si concentri per entrare nella testa di Max e affrontare con lei Uno/Vecna. A sto punto non si capisce come riesca a rispondere alle domande di Mike, che continua a parlarne continuamente e addirittura riesce a farle un discorsetto motivazionale che Aragorn scansate proprio. Nel frattempo Steve, Robin e Nancy, ritornano nel Sottosopra per uccidere il Vecna fisico che nel frattempo è entrato nella mente di Max per ucciderla. La ragazzina si è offerta come esca, non sono solo i poteri a creare un supereroe; intanto Dustin e Eddie devono tenere lontani i pipistrelli. Joyce, Jim e il mio nuovo eroe, Murray, sono in Unione Sovietica ad affrontare un vecchio nemico – e no non sono i russi.
Ho letto paragoni con Avengers: Endgame, che trovo impropri. Questa è l’Infinity War dei Duffer, la fine arriverà con la quinta stagione. La battaglia non è persa, ma nemmeno vinta, il nemico si è nascosto pronto a colpire di nuovo e preannuncia qualcosa di ancora più terribile all’orizzonte. Lo showdown non è nemmeno male, se non fosse che è stata continuamente puntellata con abbracci, discorsetti strappalacrime, baci, un sentimentalismo spalmato a pezzettoni come il burro di arachidi sul pane, allungando e sbrodolando l’episodio oltre misura forse per nascondere manchevolezze narrative o spade di Conan Il Barbaro che compaiono misteriosamente e improvvisamente. Le perdite sul fronte umano sono minime, Eddie è l’eroe del nostro tempo, il nostro cavaliere oscuro anche se la domanda come abbia fatto ad amplificare la chitarra nel Sottosopra nasce spontanea.
E qui arriviamo a un altro punto a cui tengo: la durata degli episodi. Chi produce, scrive, gestisce e gira una serie tv inizia scegliendo un formato. Con lo spettatore firma un contratto: stagioni composte da tot di puntate di 25, 30, 45, 50 o 60 minuti. Possono essere una volta 43 e un’altra 47, ma il mio impegno è raccontarti una storia organizzata in tal modo e in episodi che durino questo tempo. I Duffer Brothers a un certo punto violano il patto e, come tutte le volte che si rompe un contratto, qualcuno si incazza. Anche io mi sono incazzato, ma poi ho pensato: forse cercano una formula nuova in cui non sono costretti a spezzare una storia in parti uguale, chiudendo ciascuna parte con un gancio per tenerti appeso alla successiva; forse stanno cercando la libertà di prendersi il tempo che serve per raccontare non solo tutta la storia ma anche i singoli pezzettini di storia proposti ogni volta. Ed è un’idea, un esperimento che può nascere solo in un canale di streaming; mi sembra davvero difficile per un canale generalista o per Sky incasellare nel palinsesto qualcosa strutturato così. Però forse si può dire che l’esperimento è fallito, che in verità non c’era bisogno di prendersi tutto quel tempo, perché forse le cose si potevano fare bene restando dentro i paletti prefissati, perché alla fine sono i limiti ad attizzare la creatività, che porta allo sbattimento per superare quel confine. Pensate a Hitchcock che imbroglia quando girò il bacio più lungo della storia del cinema…
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