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Ballo Ballo

BALLO-BALLO-ITA ManifestoRaffaella Carrà è la donna, la ballerina, la show girl, le gambe e il caschetto biondo che hanno turbato i sogni erotici di mezza Europa negli Sessanta e Settanta, per alcuni pervertiti anche gli Ottanta e i Novanta. Soprattuto ha turbato i miei, ecco perché ho voluto a tutti i costi vedere Ballo Ballo, musical di Nacho Alvarez disponibile in streaming su Amazon Prime Video, che, attraverso le canzoni di Raffaella Carrà, racconta una storia di emancipazione e di libertà. Ma c’è da aggiungere: je piacerebbe esserci riuscito. 

Siamo nel 1973, Maria scappa (Ingrid Garcia Jonsson) da un matrimonio tradizionalista, abbandonando sull’altare il suo fidanzato italiano, fugge da Roma col primo aereo e torna a casa, in Spagna, dove, grazie a una fortunata serie di eventi diventa ballerina del programma più importante della tivvù spagnola. Che culo. E senza fare marchette. Però l’esuberante ballerina si troverà a fronteggiare la nuova inquisizione spagnola, la censura, impersonata dal ragazzo di cui si innamora perdutamente. Insomma, Raffaella Carrà si innamora di Torquemada. 

L’esile trama di Ballo Ballo sarebbe potuta servire per una graffiante critica degli anni del franchismo e di qualsiasi censura, invece serve solo a una successione di numeri musicali, travolgenti, ma fragili come le bolle di sapone da soap opera da cui nascono. Il corto circuito definitivo è nell’impianto visivo, degno di un Almodovar in salsa vintage, un’esplosione di colori, un revival pop, un autentico trapianto di organi sul grigio corpo stilistico di come siamo abituati a vedere rappresentati gli anni Settanta: a grana grossa e colori spenti. 

ballo ballo

C’è da chiedersi perché non ci abbiamo pensato noi, con quel patrimonio di commediole del cazzo che produciamo da un ventennio a questa parte; invece, a tirare fuori la Raffa nazionale dalla camera iperbarica in cui la stiamo conservando ci ha pensato l’uruguagio Nacho Alvarez, nome da esterno difensivo di una squadra spagnola di media classifica, uno di cui Adani urlerebbe la garra charrúa: ha il necessario distacco dalla profondità culturale che la leggerezza di Raffaella Carrà ha rappresentato per il nostro paese e dal carico di aspettative che porta con sé: noi ci sentiremmo in colpa a portare sul grande schermo (anche se il film arriva in streaming per le note vicende su Amazon Prime Video) un’icona nazionale che ha liberato le pulsioni sessuali di un popolo. Poi come siano andate in malora queste pulsioni è sotto gli occhi di tutti. 

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