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Rogue One: A Star Wars Story, la recensione col respiratore per chi soffre d’asma e con uno spoiler (ma piccolo piccolo)

rogue one a star wars story posterArriva il primo spin off di una delle saghe più amate. Rogue One: A Star Wars Story è il film di Gareth Edwards con Felicity Jones, Diego Luna, Ben Mendelsohn, Mads Mikkelsen e lo zombie di Peter Cushing.

Finita l’attesa la domanda è (han)solo: come è Rogue One: A Star Wars Story? Rispondiamo che si tratta di un film forte, solido, un film vero, un film oscuro, non un giocattolo né un remake né un reboot – vi sembro polemico? Pensate che c’è qualcuno che va in giro dicendo che Il Risveglio della Forza non è un reboot-remake di Una nuova speranza – !

Rogue One: A Star Wars Story non è un capolavoro però ritrova l’anima e lo spirito vagamente naif e innocente della trilogia originale. I personaggi hanno vere linee di sceneggiatura, non l’eco di robe già viste, progrediscono, credono, emozionano, sono doppiati male, crescono, fanno provare emozioni, sono doppiati male, fanno battute, hanno l’asma ma siccome non sono ricchi come Darth Vader non possono permettersi il respiratore incorporato nell’armatura da sith ma hanno solo la mascherina dell’aerosol legata con un filo alla giacca, il welfare galattico è peggiorato con l’impero Palpatine dimettiti, sono doppiati male, così male che Rogue One è tradotto Rogue Uno. La regia è solida e anche l’idea di cinema c’è: la prima ora è tosta, si prende tempo per raccontare antefatti e motivazioni, facciamo un tour della Galassia cercando spie, terroristi, simpatizzanti dell’impero, ultras della Roma senza tessera del tifoso che pare Sereno Variabile edizione Bella Galassia. Qua e là qualche ingenuità, come i primi piani forzatamente prolungati, però nel complesso Gareth Edwards se l’è cavata dignitosamente, dopo le personali perplessità su Monsters e il parziale riscatto di Godzilla. Un film a lungo al limite dello sbadiglio all’inizio, ma anche concentrato e adrenalinico nel finale.

Infatti, l’adrenalina scorre potente in Rogue One: A Star Wars Story. Dopo l’apparizione di Darth Vader con la voce di un vecchio dentro una radio a transistor del 1925, il film accelera fatti, ingaggia duelli, racconta eroismo e Felicity Jones sembra sempre sul punto di scoppiare a ridere forse pensando a quando correva in riva all’Arno risolvendo enigmi con Tom Hanks e qua si ritrova a dialogare con un androide immaginario che sarà creato al computer sei mesi dopo.

(SPOILER) Il finale diventa un assalto corpo a corpo più vicino a Salvate il soldato Ryan o Apocalypse Now piuttosto che a molti altri film ambientati nella galassia lontana lontana, evidenziando un lato dark – vogliamo dire oscuro? – che pochi si aspettavano con l’avvento di Disney fino all’escalation conclusiva con protagonista Darth Vader che finalmente non parla e che entusiasmerà i fan vecchi e nuovi fino all’apparizione della versione ringiovanita e animatronics di Leia-Carrie Fisher.

Rogue One: A Star Wars Story dà una risposta a decenni di elucubrazioni sul perché del difetto strutturale della Morte Nera, ma non sul perché l’imperatore abbia deciso di costruire una seconda volta un’arma micidiale con un difetto tanto evidente investendo fantastigliardi dell’impero presi evidentemente dal welfare ormai inesistente. E non posso fare a meno di pensare a Dante e Randal di Clerks. Chissà cosa direbbero di queste rivelazioni.

La citazione

Sono tutt’uno con la Forza e la Forza è con me

 forrst gump**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare

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