L’arbitro, il calcio è come la vita vera, anzi peggio
In una Sardegna fuori dal tempo, tra pecore, sassi, natura selvaggia, vecchi rugosi che parlano un dialetto tutto loro domandandosi se hanno visto Gavino, Antonello o il cugino, l’unico modo per cui un uomo può solo per 90 minuti vedere le proprie braccia (e gambe) strappate all’agricoltura ed esultare come Cristiano Ronaldo anche se c’hai la panza e a casa non ti aspetta Irina Shayk, è durante le partite di calcio del campionato di Terza Categoria. L’Atletico Pabarile perde spesso e la rivalità con l’odiata squadra del Montecrastu capitanata dall’arrogante Brai è sempre più accesa anche dal punto di vista sociale. Le sorti dell’Atletico si ribalteranno quando dall’Argentina ritorna Matzutzi, che da piccolo ha seguito il padre in Sudamerica per cercare fortuna, che li porterà a rivaleggiare con i vicini per il titolo.
Le loro vicende si alternano con quelle dell’arbitro internazionale Cruciani (da un’idea di Stefano Accorsi) che nel disperato desiderio di arbitrare la finale della “coppa europea”, finisce per restare coinvolto in un caso di corruzione. Finirà a fischiare proprio in Terza Categoria nel tesissimo scontro finale tra Montecrastu e Atletico Pabarile.
Il film di Paolo Zucca non vale certo come j’accuse al mondo del calcio italiano: troppo banali le sue “accuse” per quanto circostanziate su ciò che accade nel nostro Paese quando c’è di mezzo la Juventus. Impressiona la forma racconto de L’arbitro, Zucca si muove su due livelli: la vicenda di Cruciani e la violenza delle categorie minori, una “scuola di vita” che sembra ripercorrere prepotenze e rancori della vita di tutti i giorni. La piccola umanità meschina che entra a piedi uniti in quella che ormai nemmeno i bambini considerano un’isola felice. Perché, come Zucca scrive in un cartello all’inizio della pellicola “Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio” (Albert Camus).
Qua e là Zucca, aiutato dai suoi attori, trova il modo di riprendere sprazzi di locura, come il ballo di Cruciani nella stanza d’albergo o la confessione dello stesso “principe degli arbitri”, che col prete si lamenta dei calciatori pronti a imbrogliarti appena giri gli occhi perché “chi manca di rispetto al regolamento, manca di rispetto a me”.
E poi l’allenatore cieco, la faida delle pecore tra compagni di squadra, il portiere bendato, l’arbitro Murena di Pannofino che non ho capito perché non lo hanno chiamato Rocchi e il principe degli arbitri che finisce in disgrazia con le salcicce al collo che beve dal fiasco di vino portato in trionfo.
Divertimento e un po’ di riflessione, sto Zocca resta saggiamente e furbamente in bilico tra satira sociale e commedia da fiction. Già me lo vedo su Rai1.
**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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