Gravity/Houston alla cieca è il nuovo Houston abbiamo un problema
Ho trascinato mia moglie a vedere Gravity. Nun ce voleva venì. Lei voleva vedere Sacro Gra. L’ho praticamente costretta. Aiutato anche dal fatto che nel nostro raggio d’azione il documentario di Rosi non era in programmazione, ho tentato il golpe. Lei è venuta praticamente alla cieca. Quando il film è finito m’ha detto: «Mi hai fatto vedere due ore di film con sullo schermo praticamente solo Sandra Bullock. Ma non ti vergogni? Sei una brutta persona». Io ho risposto che non sono due ore ma 92 minuti, però sentirsi dire certe cose dalla propria moglie non è bello.
Dico a lei, e a chi su Facebook usa parole ed espressioni di cui ogni persona sana di mente dovrebbe ignorare l’esistenza, che ad amare Gravity bastano un paio di immagini. [SPOILER]Come quella di Sandra Bullock in posizione fetale nel modulo spaziale o quando riemerge dal lago dove riesce ad atterrare, affondando le dita in una terra rossa e faticosamente compie il primo passo. È una donna nuova, è una vita nuova. Un’esperienza come quella di Gravity rimette al mondo un Uomo nuovo, una nuova umanità. Senza discettare circa la perizia tecnica.
Durante una missione di routine dei detriti spaziali travolgono una stazione orbitante mentre George Clooney, Sandra Bullock e un indiano arrapato stanno fluttuando nello spazio per riparare delle strumentazioni. Clooney e Bullock restano da soli. Fluttuano. Nello spazio. L’unica salvezza è raggiungere la stazione orbitante cinese per poterla utilizzare per il rientro, lottando contro l’assenza di gravità, la scarsezza dell’ossigeno, la mancanza di carburante, la pisciarella nervosa, la diarrea, la disperazione e le umane debolezze che ti farebbero mollare quando tutto è contro di te. Senza contare che, perse ovviamente le comunicazioni con la Terra, per tutto il film Clooney e Bullock non fanno che ripete “Houston alla cieca”. Che mi ha ricordato il precedente di Apollo 13.
Io confesso, che ho sperato che Sandra Bullock schiattasse. Sognavo di vederla perdersi nello spazio, bruciare nell’atmosfera e non imparare la lezione di un Clooney buonista come un papa Francesco col diabete. Invece l’eroina vince le sue paure, sopravvive all’anelito di morte per raggiungere la figlia tragicamente scomparsa in tenera età anni prima. Vince gli ostacoli e ammara in una terra selvaggia, verde di un verde degno di Discovery Channel, affondando le mani in una terra rossa come quella del Roland Garros. E lì ho sperato che fosse atterrata sul pianeta delle scimmie. Ma ve lo immaginate che reboot fantastico per la saga una Sandra Bullock in astinenza da iniezioni di collagene che cerca di sfuggire alle mani pelose del Dottor Zaius?
Ma soprattutto, la domanda è: sono una brutta persona? Secondo me sì, perché avrei voluto vedere morta Sandra Bullock oppure prigioniera delle scimmie piuttosto che sopravvivere e imparare a vivere, ma comunque sono una brutta persona perché mi è piaciuto Gravity.
****½ Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.

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