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Rush di Ron Howard: The Rush of battle is often a potent and lethal addiction, for war is a drug

rushLa rivalità più grandi nascono con un vaffanculo, a un semaforo o per una curva troppo stretta o aver accelerato quando si sarebbe dovuto rallentare. Nasce cosi la rivalità sportiva tra James Hunt e Niki Lauda. Siamo negli anni Settanta, nella Formula 3 e fino all’apice del culto della velocità, la Formula 1, è battezzata da un dito medio, sottolineata dai continui epiteti di Hunt sulla bruttezza di Lauda, saldata nel fuoco del Nurburgring.


Peter Morgan racconta due vicende esemplari della nostra mediocrità – eh sì perché un film più di Morgan, tanto quanto di Anthony Dod Mantle con la sua fotografia satura e a grana grossa, il montaggio senza esitazioni di Mike Hill e Daniel P. Hanley, gli spettacolari e realistici effetti speciali di Wolfgang Higler, la scenografia di Mark Digby e i costumi (con un bell’aiuto da marchi italiani come Gucci e Ferragamo) di Julian Day. Il regista dei tre Dan Brown visti fin qui al cinema (#pernondimenticare) Ron Howard asseconda tutto ciò con uno stile moderno e veloce, mostra i capezzoli della principessa Maergary, cosparge il film di tette e del culo di Chris Hemsworth, tira fuori dal cilindro due gnocche come Olivia Wilde (a cui toccano gli abiti più belli e le battute peggiori del film) e Alexandra Mari Lara, ma non rinuncia a passaggi didascalici figli della necessità hollivudiana di spiegare tutto perché gli spettatori so’ scemi.

Ne esce fuori un film basico, biografico e iconico, con i lustrini, senza prendersi sul serio. In fondo, al di là del loro carisma, Hunt e Lauda sono esseri semplici: il primo ingoia la vita come fosse un bicchiere di pregiato champagne; il secondo la calcola in ogni dettaglio perché è il modo migliore per fare soldi, senza spazio per la felicità perché può solo rendere loro, cavalieri di un’epoca ormai mitica, solo più deboli. Lauda e Hunt sono soli perché non si possono permettere di essere altrimenti, sono vuoti, pensano al brivido e ai soldi perchè il contenuto li appesantirebbe, la zavorra li rallenterebbe in pista; Lauda e Hunt sono precursori di un’epoca in cui il superprofessionismo e le celebrità su un manifesto che sorridono con in mano un barattolo di olio per motori consumano e digeriscono anche il primo degli anticonvezionali.
Rush è bello anche e soprattutto per le scene di corsa, con gli effetti sonori pronti alla candidatura ai prossimi premi Oscar; la scena del Nurburgring è perfetta e già fosse sola farebbe il film, mentre nell’impostazione complessiva pare evidente il debito verso il Grand Prix di Frankenheimer a cui Morgan e Howard hanno rubato qualche battuta.

forrst gump**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare

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