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La Grande Bellezza/Te chiavasse

la grande bellezzaGep Gambardella (Tony Servillo) è un giornalista che un tempo ha scritto un libro molto apprezzato, rimasto però un’opera prima e unica. Vive la notte assieme a un gruppo di personaggi che non si sa bene come hanno fatto i soldi, organizza feste in terrazza, cene in terrazza, chiacchierate in terrazza, partecipa a feste, a cene, va in giro per locali di spogliarello. Lui non vuole essere un mondano, lui vuole “il potere di far fallire una festa”.

Naviga la vita cosi, tra momenti di grande noia, momenti di grande banalità, momenti in cui duetta con la governante filippina; il metronomo della sua esistenza sono le cene riscaldate con la direttrice del giornale per cui lavora; in un mare incostante di vita interpretata e attraversata cercando il minor dolore possibile, sono intensi i brividi di grande bellezza nei ricordi della gioventù nei pressi del faro del paesino da cui proviene oppure in una Roma umiliata, ma non sfregiata dal rito della mondanità.

Il film di Paolo Sorrentino è meravigliosamente imperfetto e meravigliosamente ambizioso. Raccogliere la vita, il bla bla bla, il chiacchiericcio, il rumore di fondo e l’infinita poesia di una passeggiata per Roma. Sorrentino mette tutto dentro, andando a tratti fuori giri, tra onirico e ovvietà, tra associazioni di idee e ispirazione.

Alla fine, si resta a bocca aperta, storcendola solo un po’, notando la recitazione un po’ sfilacciata della Villoresi, l’iconografia di Verdone – che francamente non abbiamo capito perché prenderla a prestito cosi frontalmente caricando il personaggio di frustrazioni fuori copione – una Ferilli stanca e stancamente ancorata a strip e nudità, una Serena Grandi testimone del quadro di Dorian Grey (qui la pigrizia interviene e non si fa qualcosa in più che cambiare semplicemente i nomi ai personaggi rispetto agli interpreti).

Sorrentino coglie tanti aspetti critici e criticabili della nostra Italia, li mette tutti dentro una sequenza di folgoranti battute (“Siamo un popolo di intervistati”), quadri avvilenti e svilenti ([spoiler]l’elegante vicino del superattico che si rivela essere un superlatitante e spiega “Questo paese va avanti grazie a gente come me”), mette alla berlina l’intellighenzia, fustiga il clero. Qui il limite, tutto un po’ visto, tutto un po’ sentito. Anche perché poi, il nostro Gep sta semplicemente invecchiando, e nella sua crisi di mezza età, in questo nostro tempo in cui la mezza età arriva sempre più tardi, sempre più rifiutata, porta dietro le considerazioni di un’esistenza vissuta di notte e con la gente della notte in una città dall’eterna notte in cui ogni mattino sorge solo l’insegna del Martini. Ma La Grande Bellezza vince quando lascia la critica sociale morettiana per i tratti impressionisti di poesia inarrivabile. Allora sì che ringrazi di essere al cinema.

La battuta

-Il riso riscaldato è sempre meglio di quello che hai appena fatto.
-Il vecchio è meglio del nuovo.

forrst gump**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare

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