Freaks out, Mainetti vs Marvel
«Signore e signori, l’immaginazione diventa realtà e niente è come sembra!» Inizia così Freaks Out, l’atteso ritorno di Gabriele Mainetti al cinema dopo Lo chiamavano Jeeg Robot. Chi parla è Israel, imbonitore-presentatore del Circo Mezzapiotta e veramente ciò a cui assistiamo non è quello che sembra. Davanti a noi si susseguono dei numeri da circo, ma scopriremo presto che non si tratta di semplici trucchi, ma che gli artisti che si esibiscono davvero hanno dei superpoteri. “It’s a kind of magic”, “è una specie di magia”: Matilde è legata all’elettricità in modi che lei stessa non riesce a comprendere e tanto meno a controllare, l’irsutissimo Fulvio possiede una forza straordinaria, Cencio controlla gli insetti, Mario i metalli, Israel sa lanciare il cappello come James e qua e là trasforma gli oggetti. Insomma i circensi sono degli X-men nell’Italia sconquassata dalla Seconda guerra mondiale, dagli anni del fascismo a cui è seguita l’occupazione nazista.
Girano il Paese tenendosi sempre nascosti, per non attrarre troppo l’attenzione, anche perché Israel, con un nome così, rischia grosso in una nazione piena di nazisti, diciamo che cambiarlo con un Mario Rossi sarebbe stato più opportuno, ma al nocciolo del problema arrivano anche loro e la proposta di Israel è di comprare a Roma dei documenti falsi, dirigersi in Sicilia, vendere il carrettino del circo e imbarcarsi verso gli Stati Uniti. Tra discussioni più o meno pacate i cinque si accordano, Israel parte per Roma ma non fa ritorno. I nostri decidono si recarsi nella città per capire cosa gli sia accaduto. Nella Città Eterna i 4 x-men de noantri durano 20 minuti, si trovano in mezzo a un rastrellamento, se li caricano e li portano via.
Ora a questo punto iniziano una serie di eventi non sempre chiari: i nostri si separano, Matilde vuole continuare a cercare Israel (sto nome sarebbe il caso di non gridarlo a ogni angolo di strada) mentre Cencio, Fulvio e Mario decidono di unirsi al Zircus Berlin, guidato dal crucco con la zeppola Franz, che incidentalmente ha sei dita e sballandosi con l’etere riesce a vedere il futuro. Nei suoi trip, il nazista lisergico ha scoperto che la Germania perderà la guerra, ma anche che avremmo inventato la playstation, il telefono cellulare e vede anche i 4 x-men de noantri. Chissà se nei suoi viaggi allucinanti e allucinati ha letto qualche fumetto con Wolverine. Così, in un profluvio di “s” e “z” arruffate, si convince che l’unico modo per rovesciare le sorti della guerra è trovare questi esseri eccezionali e farli combattere per la gloria del Reich Millenario.
In tutto questo, entrano i partigiani burini, mutilati, menomati, sconvolti dalla guerra e gli ebrei rastrellati di cui sopra e alcuni salti temporali un po’ azzardarti. Nel raccontarlo con mano viva fino alla fine, Mainetti mescola generi ma soprattutto la cultura pop nostrana, ci mette dentro l’espressionismo, gli spaghetti western, Trinità, i cinecomics non dimenticando neppure per un momento che un film così semplice e basico – stiamo sempre parlando di supereroi che devono prendere coscienza di esserlo per salvare le vittime della guerra e della Storia – deve ricordare in ogni momento di essere grandioso, fantastico, lasciare a bocca aperta lo spettatore. E Mainetti ci prova, continuamente: non c’è una sequenza o una scena che sia banale e non smetta di ricordare che “quella specie di magia “ che è il cinema. Tutta l’apertura sotto il tendone del circo lascia stupefatti; l’horror invece del circo tedesco, campo di concentramento dei diversi; il trip psicotropico di Franz in cui riceve una telefonata dal futuro; la battaglia finale, uno scontro a fuoco ai confini di Roma, in cui violenza, insensatezza, esplosioni che spaccano i timpani sono la rappresentazione in piccolo di una carneficina mondiale, in cui la povertà dei mezzi, volutamente, in campo è compensata dalla crudezza e dalla primaria lotta per la sopravvivenza. Mainetti vuole ammaliare, colpire lo spettatore mescolando fantasia, immaginifico, sogno, non dimenticando la merda o di mostrarci il coso di Mario che è davvero impressionante.
Riesce sempre a creare uno spettacolo spettacolare? No. Freaks Out ha dei limiti? Certo! L’eccessiva durata – qua e là si poteva tagliuzzare – alcune idee non convincono, altre soluzioni narrative sono forzate. Non capisco perché in questa Italia non ci sia nemmeno un fascista: forse perché identificare i nazisti con il male è più facile e farlo con i “fasci” nostrani è più controverso? Beh sarebbe davvero un’idiozia averlo pensato. Sulla Shoa forse c’è poca grazia nel trattare l’argomento, in film che del resto sembra voler realizzare un lungometraggio dell’incipit del primo X-Men di Bryan Singer, quando Magneto distrugge il cancello del campo di concentramento dopo essere stato separato dalla madre. Però qui c’è qualcosa che è sempre mancato ai Marvel o i DC: la convinzione autoriale che il cinema deve dire qualcosa dietro le esplosioni e gli effetti speciali.
Ascolta il podcast de Il Brutto Il Cattivo su Freaks Out e tante altre novietà in streaming e al cinema
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