The Program di Stephen Frears
Dopo aver raccontato un momento importante della vita di Mohammed Alì – la sua battaglia per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza al tempo della guerra in Vietnam (Mohammed Alì’s Greatest Fight visto da noi) – Stephen Frears continua a volgere il suo occhio sempre attento a episodi e vicende reali, piccole o grandi, personali ma metaforicamente collettive da cui trarre lezioni e insegnamenti (vedi Lady Handerson presenta, The Queen, Philomena o il citato film su Alì). Con The Program tocca una delle pagine più oscure dello sport planetario. No, non mi riferisco a Calciopoli, la triade e alla Rubentus, ma a Lance Armstrong, la battaglia vinta contro il cancro, i sette Tour de France conquistati, la più grande favola sportiva della storia tramutata in un mare di melma che ha spezzato speranze e illusioni di un ciclismo pulito.
Al suo eroe negativo, Frears fa dire “A me piace andare in bici”. Ecco a me no, Lance, fondamentalmente disprezzo chi va in bicicletta, disprezzo ‘sto stile de vita, sto entusiasmo pe’ annà su du’ rote, stassene sempre ‘nmezzo alla carreggiata, l’incapacità de mettese ‘n fila indiana pe’ dà fastidio al prossimo pe’ chiacchierà in bici de cellulari o femmine, gente che sfreccia su Baldo degli Ubaldi o l’Olimpica in mezzo alle macchine, punta i pedoni peggio di quelli col suv anche perché quelli col suv c’hanno la bici in garage. Di conseguenza, mi fa schifo il ciclismo, sport di dopati gestito da conniventi con lo schifo: ma perché invece di condannare a parole e basta non riducono la lunghezza delle grandi corse a tappe? Non riducono salite e discese? Non accettano una riduzione della velocità media? Ve lo dico io: so’ zozzi fino al midollo.
Il film di Frears racconta proprio questo. Armstrong è un giovane ciclista pieno di speranze, ma purtroppo la sua fame di vittoria lo fa subito deragliare. In tutto il movimento del ciclismo si sapeva che solo la giusta combinazione di farmaci poteva dare la vittoria. Così Lance prova a entrare nel programma (da qui il titolo del film, The Program) del controverso Michele Ferrari, che inizialmente lo rifiuta. Allora Armstrong fa da solo, convince i compagni di squadra a seguirlo in Svizzera dove l’EPO si acquista senza prescrizione medica: i giovani atleti sono imbranati come quindicenni che devono comprare i profilattici. Però i primi tentativi sono coronati dal successo e grazie al doping vince le prime gare. Poi mentre si sollazzava sotto la doccia, Lance vomita sangue – notavo ieri che anche Michele Placido in Romanzo Criminale fa vomitate sangue al Freddo poco prima della fine…. Sempre de criminali se tratta… Gli trovano circa 750 tumori, gli tolgono una palla e pure un pezzo di cervello.
Come Alberto Sordi ne Il vedovo che, dopo la delusione della mancata morte della moglie, va in convento per riprendersi dall’esaurimento nervoso e ne esce con un’insana passione per le noci e il convincimento che per salvarsi deve uccidere lui stesso la tirannica moglie, così Armstrong esce dall’ospedale sicuro che non era il caso di abbandonare lo sport, ma che avrebbe dovuto doparsi meglio e usare la sua malattia come scudo per proteggersi dalle accuse.
I fatti sono noti: Lance vince tutti quei Tour de France, il mondo è ai suoi piedi e tutto il movimento del ciclismo lo protegge perché Lance, con i suoi successi e la sua favola da miracolato, faceva fare un sacco di soldi a tutti quanti. Solo un giornalista non si beve la storia di Armstrong: come poteva quel ragazzetto adatto alle gare in linea ma fisicamente non attrezzato per reggere le grandi manifestazioni a tappe, diventare il più grande scalatore costretto addirittura a usare il freno in salita per non andare troppo forte dopo essere stato sottoposto a una devastante chemioterapia? The Program è la storia di una caccia all’uomo e alle sue bugie, fino a quando il gioco non ha retto perché il magna magna generale era finito. Iniziano i primi spifferi.
Come al solito ci siamo di mezzo noi come per la mafia, il fascismo, i pescatori indiani: anche nel doping c’è una storia italiana dentro la storia di Armstrong.
The Program fila liscio, tra un uomo orgogliosamente impunito nel suo castello di bugie, un sistema che lo proteggeva, le gare vinte. Solide le interpretazioni di Ben Foster (un bel 7) e Chris O’Dowd (6,5), bravo Jesse Plemons (il Todd di Breaking Bad) che interpreta Floyd Landis l’ex compagno di squadra di Armstrong che confessa. Frears scala le montagne della vergogna e tutti ci sentiamo sporchi, perché in fondo tutti o quasi hanno fatto finta di non vedere. Il film termina con Everybody knows di Leonard Cohen, particolarmente adatta. “Tutti sapevano che la gara era combinata”. Tutto sapevano.
**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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