Visioni (di molto) successive/ Ma perché se il titolo perfetto è Un anno da uccelli tu, responsabile italiano della major, lo chiami Un anno da leoni?

Birdwatching, guardare (e contare) gli uccelli. Sembra un’attività degna di Jenna Jameson ma invece è una nobile pratica sportiva, tra professionisti e ricconi e non solo.
Non ci crederete: ma ci hanno fatto un film. Potrebbe entrare di diritto tra le cinque trame più stronze della storia, della serie “Ti trapiantano la cornea e tu inizi a vedere con gli occhi del donatore” oppure “Quattro amiche in un ristorante di New York dicono svariate volte ‘cazzo’ e ‘scopare’ davanti a uno yogurt”. Qui siamo oltre un confine invisibile perché se iniziamo a fare i film sulla gente a cui piace guardare gli uccelli, siamo a un passo dalla fine, manca solo di grattare il fondo del barile raccontando la storia di calciatore fallito americano, indeciso tra quattro mamme bone amerigane il tutto girato da… un regista… italiano… sovrappeso… Ops.
Va bene, ok, lo so, lo so, lo so, sembra la storia più stupida del mondo ma se poi ti metti lì davanti allo schermo e fai finta che Jack Black, Steve Martin e Owen Wilson non facciano mai le faccette, beh alla fine il film è gradevole. Basta superare il trauma di un titolo che apertamente richiama uno dei film più divertenti degli ultimi anni, di scoprire che Un anno da leoni è la prova giudiziale che Rosamund Pike si è rifatta le tette, e che Jack Black, Steve Martin e Owen Wilson non sono stati scelti per fare ridere ma per fare gli adrenalinici con problemi stupidi, che a Black hanno cambiato il doppiatore e che a Steve Martin hanno appioppato la rassicurante voce di Robin Williams, superati questi equivoci, scopri che il film è gradevole, che la panza di Black non mi fa sentire in colpa per la mia e che tutto sommato guardare uccelli è divertente.

La battuta
Ci sarà un fallout di uccelli

*** È stata la cosa più divertente che ho fatto senza ridere