Thor o la rivincita di Kenneth Branagh
Non è un caso che la parte più convincente di Thor sia quella ambientata ad Asgaard. Non solo perché sostanzialmente l’azione vera si svolge tutta lì, quanto meno l’azione figa, ma per un motivo connaturato alla scelta del regista. Kenneth Branagh si è guadagnato una solida reputazione con gli adattamenti cinematografici di Shakespeare, oltre a un paio di buone commedie sul senso della vita (non vi annoierò su quanto sia stato importante per me trovarmi un pomeriggio in una sala romana e guardare Nel bel mezzo di un gelido inverno). Nella casa degli dei il regista inglese può dare sfogo a tutta la sua attenzione per i personaggi, fargli pronunciare frasi e dichiarazioni auliche senza cadere nel ridicolo, mostrare con un semplice tratto di cinepresa un mondo perfettamente immaginato, epico e dorato.
Può, con rapide mosse di sceneggiatura e occhiate ardimentose, rivelare storie e battaglie, come avrebbe fatto il Bardo per ricordarci come il tal fratello del re sia riuscito a ghermire lo scettro del potere. Eppoi è proprio materia dei sogni shakespiriani: un fratello geloso, uno arrogante che si è guadagnato l’amicizia di fedeli compagni di battaglia, un padre vecchio, stanco e debole che teme il passaggio dei poteri possa influire sulla faticosa pace che ha guadagnato a costo del sangue versato. E ancora: le battaglie ammantate di mito, l’ardore, l’egoismo incosciente, la fame di gloria. Insomma le vicende di Asgaard sono Shakespeare al 100 per cento. Quando la tenzone scende sulla Terra, in seguito all’esilio di Thor, scendiamo di qualche livello. C’è più commedia (e anche qui Branagh mostra di saper dire la sua) ma c’è un po’ meno di azione per la necessità di spiegare tante cose tra ponti di Einstein-Rosen, stelle che cambiano posizione fino all’arrivo nel fango del New Mexico del fatidico martello.
Tutto questo per spiegare che quando ho letto che Branagh avrebbe diretto un episodio degli Avengers ho iniziato a pensare a quanti zeri c’erano sull’assegno che lo ha convinto; dopo la visione devo dire che è stata una scelta pensata e azzeccata in pieno, per l’esigenza di trascendenza e una massiccia dose di aulicità nei concetti e nelle parole. Inutile dire che anche gli attori sono stati diretti benissimo, sì persino Chris Hemsworth; Portman deliziosa ma, secondo me, da colta donna qual è, ha percepito in un paio di occasioni il ridicolo in quanto spiegava e lo ha trasmesso anche a me. Insomma, vorrei dire che mi sono divertito un casino e questo è un eccellente motivo per comprare il biglietto.
La battuta
Non equivocare il mio appetito per apatia

la vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare
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