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Prima visione – Bombs over Baghdad (United 2003)

greenzoneIl cinema di Paul Greengrass mi arrapa. Quando corre a perdifiato tra le strade di New York o sui tetti di Tangeri, con un montaggio sincopato, un po’ zoppo, che non ti fa capire un cazzo, mi viene un’erezione. È cinema d’azione ai massimi livelli del nostro tempo ma il regista britannico è spesso riuscito a colmarlo di contenuti in Sunday bloody sunday o United 93.

Ciò per spiegare quanto attendevo con ansia Green zone, l’incursione di Greengrass nel caos iracheno. La missione era difficile ma è il suo habitat naturale: infilare un occhio frenetico nel mistero delle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein, ovvero il casus belli. Per farlo si affida ancora una volta a Matt Damon, nei panni dell’ufficiale Roy Miller, a capo di una delle tante squadre dell’esercito incaricate di trovare l’arsenale chimico e nucleare iracheno. I continui fallimenti lo spingono a comprendere il perchè non si trovino.

Diciamocelo chiaro: almeno noi europei lo sappiamo bene, le armi di distruzione di massa non ci sono mai state e la missione di Greengrass è veramente impossibile: coniugare un documentario di geopolitica con gli stilemi del thriller d’azione fantapolitico, con protagonista Matt Damon e una cinepresa a spalla che lo insegue a perdifiato nei polverosi vicoli di Baghdad. Non solo, ma il successo di The Hurt Locker, con i suoi Oscar e una storia più “fresca”, scollegata dalla realtà politica ma in connubio con la situazione umana di chi combatte sul campo, ha rischiato di superare e rendere quasi obsoleto Green zone ancora prima dell’arrivo in sala.

Malgrado tutto, il risultato è sorprendente: in difficoltà nelle parti di collegamento più “parlate”, in cui è necessario muoversi tra le sfumature politiche della guerra, ma scatenato e inarrestabile quando si tratta di costruire l’azione. In tal senso, Greengrass costruisce un nuovo genere, un western moderno in cui la nuova frontiera è il Medio Oriente ma con alcuni dei paradigmi classici del genere: lo sceriffo buono (Damon), quello cattivo e corrotto (Isaaks) sostenuto dal politico/sindaco cattivo (Kinnear); poi c’è il gangster che in fondo è un po’ buono ma pronto a scatenare la guerra (Naor/Al Rawi) e l’uomo normale trascinato nella tenzone dalla gravità degli eventi (Freddy/Khalil Abdalla). La guerra di Greengrass è perfettamente permeata del nostro tempo: è un mezzogiorno di fuoco nelle strade, dentro le case, nei caotici incroci di una città dilaniata in cui si susseguono gli inseguimenti a perdifiato, con la cinepresa che corre cercando di catturare un attimo, vedere il fumo di un proiettile e schivare a sua volta i colpi, grazie a un montaggio serrato, che non lascia un attimo di pace ma e al tempo stesso non perde nulla (con il fedele Christopher Rouse, con il regista già nei Bourne e in United 93) ma poi, per un attimo, lo sguardo di Greengrass si alza, si allarga e si perde nella città sconvolta dalle esplosioni. Così è facile veder il mondo infiammato dall’odio e mentre i bagliori notturni delle bombe si dissipano, la città di giorno mostra le sue ferite, i suoi monumenti violati, i cani randagi che cercano di sopravvivere.

3 e mezzo buono***½

Non hai mai sentito nominare il Millenium Falcon?

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