Sport+Cinema/Visioni (di molto) successive – Will (inteso come volontà non solo come il nome di un bimbo)
Cosa solitamente comprometta un film sul calcio non è difficile da capire. Puoi anche chiamare Messi e pagarlouno sproposito ma niente restituirà il realismo e la tensione di una vera partita di calcio. Come quelle ridicole scene di rugby di Invictus. Però di solito il problema è strutturale. Prendere Will. Una grande idea realizzata come una fiction di Canale 5. Forse anche peggio. Come dare a Zeman una squadra indisponibile a seguirlo, comprargli Bradley o Destro.
Will è un bambino di undici anni orfano di madre e abbandonato dal padre che cresce in un istituto. Come il genitore è un grande tifoso del Liverpool. Quando il papà ritorna da lui per accettare le sue responsabilità di genitore, regala al figlio due biglietti per la prossima finale di Champions League in cui i Reds affronteranno il male assoluto, il Milan di Galliani e Berlusconi. Ma il padre muore improvvisamente perché ha goduto troppo dopo che Luis Garcia, il più improbabile degli eroi, ha steso il Clehsea dei miliardari proprio nella semifinale di Champions League. Per onorare la sua memoria e il suo sogno – e quella incredibile botta di culo – Will decide di andare lo stesso ad assistere alla partita. Ad Istanbul. Sarà perchè il padre era Damian Lewis, ovvero mister doppio gioco di Homeland, lui non teme niente. Mentre attraversa l’Europa, incontra Alek, ex promessa del calcio bosniaco finito a consegnare frutta e verdura a Parigi.
Se non fosse che la serata in cui il Liverpool rimonta tre gol al Milan e lo batte ai calci di rigore è una delle più belle della mia vita sportiva e mi attizza il fatto che qualcuno l’abbia reputata una partita così significativa da farci un film strappalacrime con un bambino,, Will non si sarebbe meritato neanche una visione. L’idea di Ellen Perry, che ha scritto il film assieme al marito Zack Anderson (i due hanno alle spalle un glorioso passato da documentaristi con una candidatura agli Oscar), è strepitosa, peccato che il calcio di Champions League è trasposto generalmente la cinema come se fosse la Lega Pro, portando Gerrard, Carragher e Kenny Dalglish a comparire sul grande schermo come se fossero Calaiò e Kjaer. Peccato che le emozioni in fondo siano d’accatto e gli attori cani e cagne. Ma quella notte due palle se la merita. Forse pure tre.
La battuta
Gerrard è una supernova del calcio
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