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Visioni successive – Inquadrare dal collo in su Christina Hendricks che corre è una cattiveria degna di Guantanamo

Come è iniziato Detachment ho pensato a Waiting for Superman, lo spietato documentario di Guggenheim sullo stato prossimo al collasso del sistema scolastico americano.
E, infatti, il film di Tony Kaye apre con alcune interviste a insegnanti e presidi per poi calarci nella storia  di Henry Barthes, supplente che cerca di evitare qualsiasi tipo di coinvolgimento emotivo con il prossimo. Proprio la sua scelta professionale è la chiave al suo carattere: si sposta di scuola in scuola per non creare alcun legame. Vive da solo in una stanzetta quasi monastica e si occupa del nonno malato in ospedale. Gli chiede di scrivere il suo diario, probabilmente per cercare di scoprire il trauma che accadde alla madre da piccola e che l’ha portata al suicidio.
Quando Henry arriva in una nuova scuola molto disagiata, scopre tanti ragazzi con situazioni difficili e riesce a conquistarsi il loro rispetto proprio grazie al suo distacco.
Una notte raccoglie una giovanissina prostituta appena stuprata, la accoglie in casa, la cura, la nutre.
Kaye mescola sapientemente fiction e documentario; allo stesso tempo, il tema della crisi del sistema scolastico è affrontato come parte essenziale della crisi della nostra società e di ogni singolo individuo. La scuola non solo come punto di osservasione delle nostre società occidentali (sì, perchè il discorso valica i confini USA) ma come il suo cuore malato. Allo stesso tempo, ogni insegnante e ogni studente ritrova questa crisi dentro se stesso: la solitudine, l’incomunicabilità, l’impossibilità di penetrare il muro alzato dagli altri, siano esse giovani o adulti.
Il mondo è in disfacimento, le anime sono in disfacimento. Lo capisci subito che è un grande film dalla faccia di Adrien Brody – duro, scavato. E Kaye ci getta addosso talmente tanto dolore e solitudine che, confesso, al minuto 26 già ne avevo abbastanza. Peró ho tenuto duro, ho cercato di abbattere le mie di barriere emotive, convinto da James Caan con una faccia come una frittata o Lucy Liu incredibilmente brava. Senza contare Christina Hendricks, troppo bella per fare l’insegnante e che Kaye ci mostra mentre corre ma solo in primo piano, ahimè, sarebbe stato un innesto genetico interessante quello tra Baywatch e un documentario sulla scuola.  E mentre gli insegnanti cercano di soccorrere le proprie solitudini, dimostrandoci che ci vuole un enorme coraggio a percorrere quel metro che ci separa dal nostro prossimo, Kaye ci regala delle belle scene come Brody e la giovane prostituta appoggiati su un muro di mattoni rossi, come se affogassero in un lago di sangue.

**** La vita è come una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti può capitare

christina hendricks

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