Limitless – Volevo essere Palahniuk (o Fight club)
Raramente sono riuscito a focalizzare il principale e forse unico motivo per cui un film non funziona malgrado le premesse e mi è capitato con Limitless. Come il personaggio, ingoio la mia pillola trasparente e tutto mi è chiaro: Limitless è un film in cui tutti i passaggi sono raccontati dalla voce fuoricampo, tutto o quasi è interiore e avviene nella testa del protagonista e si sente in dovere di raccontarvelo.
Fuori da essa, tutto è piatto e Neil Burger (il regista, ma che razza di nome è? A sto punto fatti un nome d’arte e chiamati McChicken!) cerca solo di raccontarlo stilisticamente riempiendo lo schermo di effetti e di giochi visivi e di lavoro con la fotografia e in postproduzione, ma dimenticando di mostrare l’azione. Limitless è un lungo videoclip con la voce di Bradley Cooper. La storia, del resto, è un Philip K. Dick riscritto da Palahniuk, un Fight club in cui la chiave non è la schizzofrenia, ma la chimica.
La storia del resto ricorda anche molto anche Pi-Teorema del complotto: uno scrittorucolo da quattro soldi che non riesce a sconfiggere la pagina bianca, inizia a prendere una nuova droga che fa lavorare il suo cervello al massimo delle sue potenzialità. Sostanzialmente diventa Limitless, senza limiti, un Superman della mente. Inizia la sua scalata e presto capisce che Wall street è molto più remunerativa della letteratura. Ma in molti stanno cercando la sua droga e il giro diventa pericoloso. Il film rispetta il titolo e procede senza limiti tra russi incazzosi e Bob De Niro in preda al lato oscuro. Il tutto richiamando un poco Obama, con la sua sorprendente ascesa. Vabbe ora mi sono stancato e tra poco é la mia fermata.

Male, signor Anderson. Sono deluso, molto.
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