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Prima visione – Di cosa parliamo quando parliamo di aldilà

hereafterA volte non so esattamente cosa scrivere di un film fino al momento in cui non sono di fronte al foglio bianco. Lo scultore “libera” l'opera d'arte nascosta dentro il marmo, così mi capita che non sappia esattamente i miei pensieri fino al momento in cui non inizio a scriverli, ed arriva la rivelazione.

È la cosa che mi sta capitando con Hereafter di Clint Eastwood. Perchè sebbene sia riuscito a colpirmi e commuovermi in un paio di momenti, l'incertezza nel recensire positivamente la pellicola preme dietro le mie orecchie.

Con l'età il vecchio Clint sembra essersi ammorbidito: l'agiografico Invictus lascia spazio all'aldilà (è la traduzione di Hereafter), tre storie che si intrecciano alla Inarritu, altrettante esperienze di vita dopo la morte. Marie è una giornalista francese, è quasi morta durante uno tsunami e nell'incoscienza ha “visto” qualcosa; Marcus è un dodicenne che ha perso suo fratello gemello e vorrebbe parlargli ancora una volta; George è un sensitivo e vive il suo dono come una maledizione che lo allontana dal mondo dei vivi.

Alla fine delle due ore abbondanti di proiezione – quasi due ore e dieci – i sentimenti sono ambivalenti: alcuni momenti sono riuscitissimi come mero dato registico (soprattutto l'episodio dei due bambini), altri toccano perfettamente le corde giuste per suscitare una reazione nello spettatore, anche una lacrima, ma il retrogusto che rimane è un misto tra banalità e delusione certi che Clint abbia voluto suggestionare con una storia molto intima che, come capita al personaggio di Marie quando scrive un libro sulla sua “esperienza”, tocca convinzioni talmente radicate dentro ognuno di noi che è difficile scalfirle ma solo rafforzarle o provocare una specie di rigetto.

 

2**
Ragazzi, state commettendo un grosso sbaglio.

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