Hellbound, la recensione
Hellbound è la serie tv coreana del “ricordati che devi morire”, nel senso che ti appare uno e ti dice giorno e ora in cui morirai.
La gente muore massacrata da tre demoni, la Nuova Verità è la setta che convince mezza Corea del Sud che Dio arriverà presto a fare il culo a tutti quindi meglio chinare la testa e guardarsi le scarpe facendo finta di essere morti. Tutti hanno la coscienza sporca e a nessuno viene in mente che possa trattarsi di uno burla dell’universo. Un pugno di avvocati e ricercatori cerca di svelare le menzogne della Nuova Verità.
Alla fine i coreani danno di matto e fondano una sorta di fascismo confessionale affidato a un prete che evidentemente voleva solo fare stand up comedy e poi si è ritrovato a essere uno tipo Khomeini ma della serie Khomeini scansate.
Hellbound usa lo spunto sovrannaturale e horror per raccontare come ferino sia diventato il nostro mondo, dove l’odio social è solo lo specchio del disprezzo che abbiamo per il nostro prossimo. Yeon Sang-ho, regista e sceneggiatore quarantatreenne noto per gli zombi horror Train to Busan e Peninsula mette su sei puntate che si divorano tutte d’un fiato, ricche di spunti visivi e di tanti linguaggio mescolati proprio per riprodurre la complessità del nostro tempo. Squid Game suca duro, qui c’è qualità e voglia di dire qualcosa di importante. Ci riesce.
Hellbound è disponibile su Netflix.