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Prima visione/Quanto era bello 48 ore…

Due sicari entrano in una stanza di albergo spacciandosi per poliziotti. Apre la porta un uomo dal fisico forte, in boxer, che fino a quel momento ha scolato vodka e sniffato coca. Inveisce contro i due. Loro estraggono la pistola e lo freddano sul pavimento. Due pallottole nel petto e, quando il malcapitato si fa di nuovo sotto malgrado il ferro in corpo, una pallottola alla testa. Nella stanza d’albergo c’è una prostituta ma uno dei sicari, Jimmy Bobo, ha solo due regole nel suo lavoro: lui non uccide donne e bambini. A lavoro fatto, qualcuno inizia a dare la caccia ai due assassini, uccidendone uno. Il superstite cerca vendetta, a lui si unisce un poliziotto arrivato da Washington.

È Bullet to the head, trasposizione della graphic novel Du plomb dans la tête, scritto da Alexis Nolent ed è uno dei film presentato in pompa magna al Festival Internazionale del Film di Roma dal caro leader Mueller. È il ritorno dietro la macchina da presa di Walter Hill (per dirne uno, 48 ore) che dirige Sylvester Stallone nei panni di Jimmy Bobo. Proprio a Roma, il regista è stato insignito del Maverick Award e ci ha onorato con un masterclass.
Bullet to the head è un autentico revival degli anni Ottanta e un solido lavoro di uno che conosce il suo mestiere, oppure di quello che era fino a 20 anni fa. Se sperate di trovare qualche innovazione rispetto al classico buddy cop mettevi l’anima in pace. Le uniche innovazioni sono il blackberry che un poliziotto idiota afferma di usare “come un’arma” mentre non si rende conto di quello che capita sotto il suo naso ed evidentemente ignorando che il vero detective è la voce di donna dall’altro capo del telefono che gli fornisce tutte le informazioni; una chiavetta USB; qualche computer.
Queste operazioni “nostalgia” – come I Mercenari – non mi attraggono più di tanto; preferisco rivedermi i film frutto di un’altra epoca, che ancora oggi mantengono la loro freschezza, che una minestra riscaldata che cerca di far rivivere antichi furori ormai sopiti.

Però lo Stallone battutista (il suo Jimmy è un logorroico della battuta tagliente), lo showdown finale a colpi d’ascia e la figlia del personaggio interpretato dallo stesso Sly (Sarah Shahi, una che discende dallo scia di Persia, è cintura marrone di karate e che purtroppo è sposata) valgono il prezzo del biglietto.

** Ragazzi, state commettendo un grosso sbaglio.

 

Ciao, discendo dallo scia di Persia, vuoi bere un tè o giocare a scacchi fin quando fa male fin quando ce n’è?

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