Prima visione – Warrior google proof
Quando è apparso maestosamente il titolo, dopo un breve prologo in cui Tom Hardy incontra dopo 14 anni il padre ex alcolista e lo invita a farsi un goccio con lui, in quel preciso istante, mentre la scritta Warrior appariva bianca e maestosa su campo nero, in quel momento sapevo che stavo per assistere a un grande film. Come può non essere tale un film di sangue, disperazione e rivalsa, dove entra tutto il nostro tempo? In cui anche il sogno borghese di una casa, un giardino, un garage non può realizzarsi, messo in pericolo da meccanismi troppo più grandi di noi?
In Warrior, due fratelli sono spinti, in modo diverso, a gareggiare in un torneo di arti marziali miste che si chiama Sparta, un tribale tutti contro tutti.
Brendan è un insegnante di fisica, è sposato a quella gnocca di Jennifer Morrison. Le cure mediche per il debole cuore di una delle sue due figlie lo ha messo nelle mani della banca e ora la banca vuole la sua casa.
Tommy è un ex marine. Non parla molto, struscia ogni parola. Di lui sappiamo che si è ricoperto di onore in Iraq ma anche che nasconde un segreto. Ha promesso di prendersi cura della famiglia di un suo commilitone che non tornerà mai a casa.
In passato, entrambi, hanno praticato la lotta greco romana: il padre alcolizzato li ha allenati per vincere sempre. Così, l’ex marine e l’insegnante che neanche si parlano riescono ad entrare nell’entry list di Sparta, nel tentativo di vincere la borsa di 5 milioni, messa in palio da un ex speculatore di Wall Street che ha fatto i soldi con gli hedge fund. I loro percorsi sono molto diversi: più tradizionale quello del professore (sostituzione di un infortunato che fa parte della scuderia del suo allenatore); in linea con i tempi quello del marine: in palestra pesta a sangue il campione mondiale di arti marziali miste, il solito telefonino riprende tutto e Tommy si ritrova ad essere la stella di YouTube.
Sì, so cosa state pensando: la storia sembra un po’ telefonata, e già immaginate le sedute di allenamento alla “Non fa male” oppure inseguendo una gallina e l’immancabile sindrome di Adriana con la moglie che trepida a bordo ring. Warrior non può evitare gli snodi fondamentali del genere, ma come alcuni illustri predecessori, offre qualcosa in cambio: la rabbia, la passione, la disperazione, la verità di vite spezzate che cercano faticosamente di rimettersi in sesto cercando di recuperare i legami famigliari che si sono rotti restituendo faticosamente i colpi ricevuti.
A volte il ring è un amico e i pugni dell’avversario possono essere più dolci di quelli che ci riserva l’esistenza.
Gavin O’Connor sa tutto questo e ce lo trasmette dalle fessure degli occhi dei suoi attori (Nick Nolte soprattutto e un Tom Hardy con i trapezi più espressivi della storia del cinema, una bestia apparentemente senza sentimenti distrutto dalla guerra e da un genitore violento) e con uno stile ribelle anche quando elabora i canoni di genere. La fotografia lavora tanto sui chiaro scuri – anche se sarebbe meglio chiamarli scuri-scuri – e da quei buchi neri emergono emozioni sommerse che vibrano sotto la pelle indurita dai cazzotti, i calci e le prese ricevute e date. Perfino i suoni arrivano addosso allo spettatore di taglio, colpendoti al fegato più che al timpano, trasformando Warrior in un’esperienza sensoriale.

A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…
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Dev'essere un periodo di facili entusiasmi…
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Forse hai ragione. Ma giuro di aver visto gente piangere alla proiezione per la stampa.
Caro utente anonimo, la prossima volta firmati, grazie
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Sono stati informati del decreto legge/finanziaria di Berlusconi, il film non c'entra
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Sai che c’è? Da quando ho visto TDKR, Bane agita i miei sonni ad ogni dannata notte, terrorizzandoli. Ho deciso dunque di rivedermi questo. Sarò di colpo diventato fragile come una sdraio venduta dai cinesi, che ne so, ma ho pianto. Io da Tom Hardy mi voglio far cresimare, mo’ che mi sposo.
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guarda Bronson… non ho ancora pubblicato il post e ce l’ho in testa da sei mesi ma guarda Bronson
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Visto, visto. E mo’ che me lo hai ricordato mi tocca anche dormire con l’abat jour accesa, maledizione a te. Quell’uomo fa paura. Ma forte, eh. Le riflessioni su Bronson a quando scriverai il post.
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