Pluribus: filosofia, alieni e Rhea Seehorn che fa il miracolo della televisione
In nove episodi Vince Gilligan azzera l’umanità, esalta una sola attrice e ci chiede se preferiamo il collettivo perfetto o il caos del libero arbitrio. Noi intanto ridiamo per i droni e riflettiamo sulle pandemie. Benvenuti nella serie più strana (e più nostra) del 2025. Su Apple Tv.
La domanda al centro di Pluribus è semplice e gigantesca allo stesso tempo: quanto può essere tirata una corda prima che qualcuno – o qualcosa – decida di spezzarla? Vince Gilligan costruisce una serie che è praticamente un esperimento di laboratorio: in scena ci sono tre personaggi — Carol, la Mente Alveare e Manousos — e tutto il resto è sottrazione, silenzio, vuoto scenico. Il risultato è che Pluribus vive o muore su una sola attrice, Rhea Seehorn, che non solo regge lo show: lo porta sulle spalle come se fosse il suo zaino da trekking minimalista.
L’intera umanità è trasformata in un’unica mente in seguito all’esposizione a un virus proveniente dallo spazio e il cui imperativo biologico è propagarsi non solo su tutto il pianeta ma nell’intero universo, vive in uno stato di armonia inquietante, un Eden burocratico senza individui. Carol Sturka, romanziera di successo, asociale e misantropa è una delle poche immuni. Nei nove episodi passa da un impulso iniziale di sabotaggio a una fase di studio antropologico degli “altri”, poi alla convivenza strategica con la Mente Alveare, fino alla presa di coscienza finale: non era un patto, era un inganno travestito da opportunità. A quel punto Carol torna alla linea di partenza – ma più arrabbiata, più lucida, più determinata. E con un nuovo alleato.

Il paradosso dell’addizione
La verità è che singole parti di Pluribus hanno un valore superiore a quello dello show nella sua interezza. Ogni comparto preso singolarmente merita un voto altissimo; la serie intera, meno. Rhea Seehorn è semplicemente devastante – nel senso migliore. Sta per ore da sola sullo schermo, cambia registro con una vibrazione del sopracciglio, dosa commedia e tragedia senza mai scivolare nel manierismo. È uno di quei rari casi in cui pensi: “Ok, la statuetta gliela potete consegnare ora, grazie”.
La sceneggiatura è altrettanto chirurgica nel piantare domande che continuano a ronzarti in testa giorni dopo: cos’è umano? Cosa ci rende unici? Quanto vale l’individualità? A cosa siamo disposti a rinunciare in cambio della pace?
Una serie che ti spinge a ragionare su infrastrutture, progresso, pandemie reali e immaginarie, sul peso dei sistemi collettivi che cancellano il singolo ma eliminano anche guerra, sfruttamento, violenza. Se il virus che viene dallo spazio fosse il covid, Carol sarebbe una no-vax? O è solo una che ha deciso che il mondo deve smettere di toccarle i nervi?

Gilligan affronta all’arma bianca l’etica del libero arbitrio: senza responsabilità diventa egoismo operativo (se posso farlo, lo faccio), narcisismo sistemico, anarchia da supermercato. E forse è questa la parte migliore della serie: il fatto che ti lascia pensare, anche perché — diciamolo – sullo schermo succede pochissimo. È quasi una commedia nera minimalista, con momenti grotteschi e assurdi, tipo un drone che non riesce a sollevare un sacco della spazzatura o una granata che esplode con la puntualità di una gag slapstick.
Ci sono poi le scene madri – quelle sì, impeccabili: le iene che assediano la casa, l’ispezione nel centro del “latte”, i momenti di precarietà emotiva mascherati da routine quotidiana. Tutto costruito con una regia precisa, calibrata, che però non riesce a nascondere l’unico vero difetto della serie: la trama è troppo sottile per reggere nove episodi. Sono i 10 grammi di marmellata che il dietologo ti concede di spalmare su una pagnotta intera.
E alla fine dei giochi, dopo nove episodi, Carol è esattamente dove l’avevamo lasciata: sola, ferita, incazzata, ma con la consapevolezza di avere un alleato – Manousos – che ha percorso seimila chilometri per arrivare dove noi eravamo già mentalmente da un pezzo. Una scossa narrativa quasi tardiva, ma efficace.
I riferimenti sci-fi
Gilligan torna alle origini – X-Files – e gioca con un campionario che va dall’Invasione degli Ultracorpi alle atmosfere lovecraftiane di entità incomprensibili, fino all’ombra lunga del Dottor Mabuse di Lang, maestro del controllo mentale e dell’ipnosi sociale.
Pluribus dialoga anche con l’immaginario blockbuster (Independence Day) per rovesciarlo: qui l’alieno non stermina, salva. Realizza il sogno utopico di Lennon: niente nazioni, niente proprietà, niente guerre. Una comunità dorme nei palazzetti dello sport per risparmiare il riscaldamento, respira lo stesso respiro, vive pacificata. Come fai a tifare contro? Come fai a difendere l’individuo quando il collettivo elimina tutta la sofferenza del mondo?
È la domanda-madre della serie.

Il verdetto
E ora la confessione: se guardo all’annata televisiva, nel complesso ci sono almeno quattro o cinque serie del 2025 che mi sono piaciute di più. Pluribus è affascinante, complessa, filosofica… ma anche lunga, rarefatta, troppo teorica per le sue stesse ambizioni.
Però nei suoi migliori momenti è brillante, insolente, unica. Come se Gilligan avesse deciso di fare fantascienza con la quantità minima di fantascienza possibile.
E l’unica vera costante è Rhea Seehorn: una centrale elettrica emotiva che tiene in piedi il mondo mentre il mondo crolla.
Pluribus non è perfetta.
Ma è una serie che ti entra in testa.
Proprio come una Mente Alveare.
Ecco le migliori frasi e citazioni di Pluribus
Le migliori frasi e citazioni di Pluribus
-Dovrei conoscervi?
-Dipende: sei un fan delle stronzate?
Credo che se rendi felice anche solo una persona, magari non è arte, ma è qualcosa. Helen
Vogliamo solo aiutarti Carol.
È una specie di colla mentale capace di tenerci tutti insieme. Davis Taffler
Per noi è un imperativo biologico.
Carol: Abbiamo viaggiato per 16 ore per farci ibernare come Walt Disney.
Helen: Non è stato ibernato, è una leggenda.
Dobbiamo ansare in ogni posto strambo consigliato da Rick Steves? Non sarebbe cosi male stare in un albergo semplicemente bello e godersi l’esperienza. Carol
Sembra quasi uno screensaver (guardando l’aurora boreale). Carol
Quando le mele cadono dall’albero le mangiamo con gratitudine. John Cena
Lo riconosco: quei cazzoni fuori di testa sanno cucinare.
Niente su questo pianeta è vostro. Manousos
Non ci sono più cose come il possesso o la proprietà privata. Dove ci troviamo è casa. Zosha
Carol: Non diventerà la scena dell’orgia alla fine del secondo Matrix vero?
Zosha: Se non lo vuoi tu, no.
Buona scrittura Carol.
Non sono stati loro. Non gli svitati.
-Vuoi che ti dica chi è?
-Lo so chi è.
Vuoi salvare il mondo o conquistare la ragazza?
Hai vinto. Salviamo il mondo.
-Carol Sturka. Cos’è questo?
-Bomba atomica.
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