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Creed, Stallone e il suo migliore amico

creedRiepiloghiamo Creed di Ryan Coogler con Michael B. Jordan e Sylvester Stallone: un ragazzino figlio di papá che vive in un villone a Hollywood, molla il lavoro da colletto bianco dopo essere stato appena promosso, probabilmente ottenuto grazie alla raccomandazione della madre adottiva, per seguire le orme del padre e diventare un pugile. Il genitore era Apollo Creed che disonorò l’Ameriga finendo a faccia avanti in un incontro con Ivan Drago restando ucciso, con Rocky imbambolato con l’asciugamano a mezz’aria a guardare con virile passione i pettorali di Dolph Lundgren. Dopo mezz’ora Reagan voleva abbandonare la proiezione e tirare due bombe atomiche su Mosca, lo ha fermato la CIA. Contando proprio sul senso di colpa di un anziano Rocky – che ormai si occupa solo del suo ristorante che in due ore e un quarto di girato vediamo sempre vuoto – il giovane figlio di papà parte per Philadelphia dove con un po’ di lagna riesce a farsi allenare da Rocky e avere una chance mondiale a patto di fare pace col suo DNA e accettare il cognome Creed.  Perché ci sta tanto bene sui poster.

Rocky torna con una furbata, lo spin off su un personaggio che non avevamo mai visto e sentito. È uno spin off e sarebbe il settimo titolo della saga. Settimo come Fast&Furious, settimo come Star Wars: Il Risveglio della Forza e, come il blockbuster di JJ Abrams, si tratta più di un reboot/remake del primo episodio. Meno spinto come rifacimento rispetto a Star Wars 7, Creed riprende passaggi e citazioni chiave del primo (e degli altri) per costruire la sua storia, fedele, nello spirito, a Rocky. Adonis è un privilegiato, ma è nello spirito proletario che il regista Ryan Coogler rispetta l’originale, usando Philadelphia come un personaggio, un panorama devastato e post urbano in cui i pugili di domani cercano il riscatto diventando dei campioni del mondo, linguaggio da strada, gente che fa le pinne con la moto. Il mood è giusto. La regia è aggressiva: ci sono un paio di momenti entusiasmanti come il primo incontro di Adonis girato tutto in sequenza grazie alle cineprese Movi che consentono una stabilità incredibile mentre l’operatore danza intorno ai pugili; l’epica dell’allenamento, ripreso a piena forza dalla tradizione della saga, la spinta psicologica che arriva da un fattore esterno che non svelo per non spoilerare, il ritorno della famosa gallina del secondo episodio (non la stessa, quella Rocky se l’è magnati pe’ merenda) e una sequenza quasi onirica nell’incontro decisivo su cui non mi dilungo.

Manca un rivale credibile, un vero “cattivo” in senso hollivudiano: Darth Vader e il Lato Oscuro si annidano dentro i personaggi ed è proprio qui che la macchina di Coogler si inceppa, nel confronto con i demoni interiori: non basta boxare con lo specchio.

Infatti, il film è anche molto parlato e forse qua e là Coogler finisce col prendersi troppo sul serio. Però non va dimenticato che questo ragazzo neanche trentenne ha avuto le palle di presentarsi davanti a Rocky/Rambo/Sly e chiedergli di lasciare nelle sue mani “il migliore amico” di Stallone. Una prova di coraggio degna di uno che sceglie di affrontare Ivan Drago. E alla fine resta in piedi.

starwarz***½ Non hai mai sentito nominare il Millenium Falcon?

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