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Skyfall: Un nuovo cavaliere oscuro

La cosa che mi ha più stupito di Skyfall è la qualità di cui è intriso ogni fotogramma. Merito di un regista come Sam Mendes, della cui attitudine action dubitavo, che non solo mi ha smentito ma che ha portato su un livello superiore, vorrei dire nolaniano, tutta la franchigia di Bond. Il suo 007 è un eroe tormentato, un autentico Cavaliere oscuro, non solo sessualmente ambiguo come qualche giornalista pruriginoso della grande stampa italica si è affrettata a scrivere, ma vicino al proprio lato oscuro.

Durante l’inseguimento a una spia che ha rubato la lista di infiltrati dell’MI6 nelle cellule terroristiche mediorientali, Bond è abbattuto dal colpo di fucile della collega Eve che esegue un ordine impartito via radio da M: la lista è da recuperare a ogni costo, anche mettendo in pericolo la vita di Bond. Ferito, l’agente segreto si nasconde su una spiaggia turca a trombare e bere mojito, fino a quando un attentato alla sede dell’MI6 non gli fa sentire di nuovo il richiamo del lavoro.

Come il Batman di Nolan, 007 è colpito nel fisico, tradito da chi pensava amico ma non rinuncia a lottare per la sua patria. Oltre alle motivazioni e agli sviluppi del personaggio, è la qualità del film a ricordare Nolan. Basterebbe elencare la quantità di Oscar o candidature al premio Oscar che ci sono nel cast artistico e tecnico. Ricordo Javier Bardem (nei panni del temutissimo Silva), Judy Dench (che torna come M), il regista Sam Mendes e lo scenografo Dennis Gassner; tra i nominati il bravissimo Ralph Fiennes, il direttore della fotografia Robert Deakins (collaboratore molto stretto dello stesso Mendes e dei fratelli Coen, che in carriera ha avuto 9 nominations) e Albert Finney, nominato 5 volte.

Oltre alle interpretazioni – Craig ancora niente Oscar ma da tempo è uno degli attori più carismatici e richiesti – è la fattura tecnica a essere di un altro livello, tale da esulare dalla categoria action. Come i Batman di Nolan, qui non c’è solo azione, c’è qualità e una visione del mondo. Qualità nella scelta delle location e delle scenografie: l’ambientazione dove si svolge lo showdown finale è da togliere il fiato e non sveliamo altro per non spoilerare il film, mentre alcuni momenti sono epici e di pregevole realizzazione: il duello nel grattacielo di Shanghai, che si svolge nella più completa penombra, illuminato solo dai neon degli enormi schermi della facciata dell’edificio, che richiamano un po’ Blade Runner ma che conferiscono alla scazzottata una magia stilisticamente drammatica e affascinante; il pregevole pianosequenza nel casinò di Macau; gli inseguimenti dentro la metro di Londra, erano anni che non mi emozionavo così in un pedinamento; i confronti con Silva che si svolgono in uno scenario post apocalittico intriso di fantascienza distopica, metamessaggi disturbanti e iconografia supereroistica (come la cella in cui lo rinchiudono che ricorda quella di Magneto). Tutto, scenografia, fotografia, interpretazione, caratterizza un puzzle perfetto, diretto con mano ferma e con una visione del mondo, del nostro e di quello di Bond, forte. Qui arriviamo al secondo punto: sarà l’impatto dei 50 anni dal primo film della saga (60 dal primo romanzo di Ian Fleming, Casino Royale che è anche il titolo della pellicola che in un certo senso ha dato il via al reboot con Daniel Craig) ma tutto il film gioca sul confronto/contrasto tra vecchio mondo e nuovo mondo, con citazioni che rimandano all’iconografia dell’agente segreto (basti pensare all’Aston Martin vista in 6 precedenti film di 007 che diventa suo malgrado ancor di più un’icona in Skyfall), con continui richiami alla necessità di affrontare le nuove sfide del presente con nuovi strumenti, e il rifiuto di Bond e di M a cedere il lato “umano” dello spionaggio, perché nelle ombre di internet e della tecnologia si nascondono uomini, e quegli uomini sarà sempre necessario andare a stanarli “alla vecchia maniera”. Ancor di più, l’emblema è l’incontro con il “nuovo” Q (un ragazzino geek e nerd che incarna proprio il nuovo mondo) che avviene alla National Gallery di fronte a un dipinto che a me ha commosso quando l’ho visto, “La valorosa Temeraire” di William Turner, in cui una vecchia nave da guerra è strascinata in porto per essere dismessa, al cui cospetto si svolge un colloquio incentrato sui vecchi e nuovi guerrieri. Ma, alla fine, l’incontro di Bond con una delle 6 persone che al mondo sa fare “quello che sa fare lui con un computer” si chiude con un equipaggiamento “d’altri tempi”: una pistola e una radio. “Cosa ti aspettavi? Una penna esplosiva?”.

Senza contare che Skyfall, fortemente, innova la saga, innanzitutto portandola nella vera dimensione della serialità con un finale aperto e che richiama tutta la sua storia, ma anche sul ruolo della donna. Non è un caso che per Skyfall si parli più, e a ragione, delle prove incredibili di Javier Bardem (ancora un fallimento il doppiaggio italiano ma l’attore spagnolo caratterizza il suo Silva come uno dei cattivi più terribili di tutta la mitologia di 007) e del “peso” di Ralph Fiennes, un attorone che sta sostanzialmente poco sullo schermo ma che risulta comunque decisivo e importante. Chi se lo ricorda il nome delle Bond girl? Io no, e francamente non sono neanche bone.

La battuta
Certe cose mi piace farle alla vecchia maniera
Auguri 007, non faccia cazzate

***** A volte c’è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla…

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