Visioni successive – Papà fischia
L’umile opinione di questo scribacchino è che Stephen Daldry sia uno dei più grandi narratori di storie del nostro tempo, nonchè un maestro nel descrivere grandi donne. Se concordate, proseguite nella lettura di questo articolo. Se non siete d’accordo, potete tranquillamente andare a leggere le recensioni di Kezich su Corriere.it.
The Reader lavora su tre piani: l’educazione sentimentale di Michael, il senso di colpa collettivo che si scontra con le pulsioni emotive personali e il rapporto con le nostre esperienze e tutti gli infiniti modi per cui possiamo decidere di chiudere i conti con il passato ma è il passato che non li chiude con noi.
Raccontato attraverso dei flashback, mai scontati e spesso subliminali, ispirati da un treno che passa o il semplice ricordo di un brano di un libro, il film apre come una banale storia di sesso e amore tra un giovane alle prime armi e una donna già matura. I consueti riti di iniziazione – il primo sguardo furtivo, il presentarsi al terzo incontro, le gite in bicicletta – sono studiati con l’occhio sensibile di chi guarda per la prima volta. In maniera stupefacente riesce a commuoverci, grazie all’intensità di Kate, sconfitta dalla vita ma non doma. L’elemento narrativo si annoda nei rivoli del racconto: la storia carnale tra il giovane e la donna si intreccia nella dipendenza fisica del primo e nelle richieste di lettura dell’altra, un intrecciarsi di spirito e di anima, sottolineato dalle scene nella vasca, dalla voce vibrante di emozione di lui mentre legge, o la cura di lei nel lavarlo.
Poi, improvvisamente, uno stacco, e la storia d’amore diventa un processo, il processo si fa Storia ed essa diventa dramma personale. Il senso di colpa di una nazione occhieggia dal banco degli imputati. Hanna cosa poteva fare? Erano gli ordini, senza gli ordini ci sarebbe stato il caos. Le scelte personali incrociano la stupidità che incrocia il dolore che si interseca con le piccole scappatoie degli imputati per salvarsi e oddossare la responsabilità ad una sola persona. Il dubbio che ci assale e assale il protagonista é: anche noi scarichiamo il senso di colpa su qualcun altro per sentirci meglio e poterci guardare allo specchio alla mattina?
Arriva, al dunque la pena, e la sconfitta definitiva, forse. Qui alla fine, amiamo ancora Kate che inizia il suo percorso, faticoso, dando quasi un senso ad una vita e a colpe sbagliate. Probabilmente non dice molto di più sull’Olocausto e le sue responsabilità. Ma Daldry riesce nel farmi parteggiare per una dannata: non è un Amon Gothe facile da odiare (il riferimento è al personaggio interpretato da Fiennes in Schindler’s list), la sua Hanna intenerisce nella sua forza e nel suo orgoglio, nei suoi capelli bianchi e nella sua fame d’apprendere, nella sua instancabile attenzione nel prendersi cura dell’altro nell’unico modo che conosce: lavandolo.
Alla fine del film, un senso prepotente di malinconia attraversa le nostre ossa, incerti se nella vita possa esserci sempre redenzione o se moriremo cercandola. Nell’attesa, Kate è fantastica anche se in Revolutionary Road è anche meglio.

Fa un po’ di tutto, anche se tutto quello che fa è bello ma inutile, un po’ come la matematica pura: magari non serve, ma è sublime.
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cocci, mi hai definitivamente convinto (ma bastava poco ad onor del vero) ad andare a vederlo
lo conosci alessio guzzano di city? vi adoro entrambi!
ciao!
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ahahah, che onore, grande guzzano.
PS: certo questa di recensione non voleva essere comica 😉
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In Revolutionary road è meglio, ma anche qui non scherza mica. Comunque bellissima recensione, io sono un pò meno entusiasta, però devo dire che il film mi è piaciuto.
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ho visto il film.
Ci sarebbe da parlare per un mese.
Evito.
Vorrei solo chiederti perchè Fiennes ultimamente c’ha sempre qull’aria contrita e quella paralisi alla bocca…sarà che si stanca troppo nei bagni degli aerei con le hostess?? 🙂
mah, che peccato.
Cmq, grande Bruno Ganz
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