Visioni successive – Vedi Bruges e poi muori
Personalmente adoro i film con i gangster affetti da logorrea che parlano continuamente di stronzate e discorsi senza senso mentre nel frattempo si sparano addosso, rubano, intimidiscono, uccidono, violentano o altro. Inoltre, adoro Colin Farrell e soprattutto le sue sopracciglia, sebbene non ve ne sia alcun motivo apparente: l’unico film in cui ha offerto una prova convincente è in Intermission, piccola chicca indipendente irlandese in cui interpreta un personaggio, sotto molti aspetti, simile a quello offertogli da Martin McDonagh nel bellissimo In Bruges.
Farrell è fisiognomicamente un gangster, un teppista da strada, un delinquente ed ancor di più lo sono le sue sopracciglia. Inoltre, è un eccellente attore comico, grazie proprio a quell’aspetto da tipo burbero, violento, con le ascelle puzzolenti e un pessimo dopo barba (quando si rade) ma sempre pronto alla battuta che sdrammatizza. Ecco perché ho adorato “In Bruges” dal primo fotogramma: è un film su degli assassini logorroici, costretti a far decantare gli ultimi avvenimenti delittuosi che li hanno visti protagonisti nella cittadina fiamminga.
Così, tra un serie di lunghissime e inutili discussioni sulla presunta bellezza dei canali e delle strade acciottolate della “cazzo–di–Bruges” (“fucking Bruges”) si arriva agli snodi drammatici fondamentali del film e, di più, della vita: la colpa, la condanna, il perdono, la redenzione e la salvezza. Scena chiave è quando Ken/Gleeson e Harry/Fiennes disquisiscono del destino di Ray/Farrell in un pub all’aperto nella piazza centrale della cittadina; il primo è angelo caduto che cerca la redenzione dell’amico, il secondo – autentico Satana della malavita, sempre più Lord Voldemort nell’aspetto e nel ghigno – vuole trascinare con le sue mani Ray/Farrell all’inferno. Sullo sfondo dell’inquadratura ed esattamente in mezzo ai due che si giocano l’anima di Farrell a chiacchiere, spicca la torre che domina Bruges, da cui si osservano i destini e le colpe di tutti i suoi abitanti e visitatori, simbolo della spinta dell’uomo a raggiungere Dio, l’anelito alla perfezione dell’essere umano ma anche dell’inevitabile destino a fallire, prigioniero delle umane miserie terrene che ci fanno cadere.
Qui arriviamo ad un altro snodo fondamentale: la città. Bruges è un protagonista tanto quanto Farrell, Fiennes e Gleeson. Le sue strade, i canali e i dipinti sono alla stregua dei volti dei personaggi: li sottolineano e li permeano di nuovi e più grandi significati, quasi un’altra dimensione, facendo di questo film su dei piccoli gangster una storia che riguarda tutto il genere umano, perché da sempre, l’uomo cerca di fare conti con il proprio passato, comprendere la propria condanna, ottenere la salvezza, raggiungere la redenzione.
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